di Gino Usai
In pieno autunno, il Comando Militare Alleato da Napoli provvide finalmente ad assicurare il servizio di collegamento tra Ponza, Ventotene ed Ischia con le motonavi “Ondina” e “Rondine”, le quali, benché poco adatte e assolutamente insufficienti, con due corse settimanali garantivano il trasporto dei passeggeri e della posta, e fornivano i generi alimentari alla popolazione. Questi generi gli Alleati li davano al Comune di Ponza a titolo gratuito, oppure ad un prezzo il cui ricavato doveva essere devoluto ad opere assistenziali della popolazione ponzese. Ma di quel ricavato per molto tempo non si avrà traccia. Infatti l’incaricato del magazzino comunale solo dal 17 Aprile del 1945, su sollecitazione dei partiti politici locali, comincerà ad effettuare dei versamenti parziali in conto del ricavato dei generi venduti.
I beni di consumo che giungevano a Ponza venivano depositati all’Ammasso, ossia in alcuni magazzini comunali situati in via banchina Di Fazio. Uno di questi magazzini era di Mazzella Antonio, al quale il Comune pagava un affitto di 200 lire al mese.
I beni erano razionati e l’Ufficio Comunale dell’Annona, diretto dalla signora Sofia Rispoli e dalla collega Albano Giuseppina, aveva il compito di distribuire le carte annonarie ai capofamiglia. I negozianti Giovanni D’Atri, Giovanni Ronca, Luigi Scarpati e Vittorio Scotti compravano all’ingrosso dai magazzini dell’Annona e rivendevano al dettaglio a prezzi calmierati.
L’Ufficio Razionamento del Comune di Ponza autorizzava il Magazzino Comunale di consegnare ai vari panificatori dell’isola i quintali di farina necessari per panificare. Ad esempio: in data 27 novembre 1943 viene autorizzata dal Dirigente dell’Ufficio Annonario, che era il Segretario Comunale Marzo Nicola, la consegna alla panificatrice Migliaccio Maria Grazia di 250 Kg di farina.
Il pane era razionato e ne toccavano tassativamente 150 grammi a persona. Assolutamente insufficienti, specialmente per chi era addetto ai lavori pesanti della campagna. Infatti spesso giungevano al Comune richieste di razioni supplementari del pane e dei generi da minestra, come quella avanzata in data 24 luglio 1943 dalla coltivatrice diretta Romano Virginia, proprietaria di fondi rustici di notevole estensione.
I contadini per legge erano tenuti a depositare presso l’Ammasso il surplus dei loro prodotti; molti di loro raccoglievano le granaglie e i legumi in damigiane di vetro e li nascondevano sotterrandoli nell’orto per non consegnarle all’Ammasso. Accadeva pure che qualcuno, scorta la manovra, nottetempo le rubasse.
Ponza rimase priva anche dei sali e tabacchi, perché i collegamenti con Gaeta, presidiata dai tedeschi e attaccata dagli Alleati, erano interrotti e si dovette far ricorso al Magazzino d’Ischia, difficile da raggiungere. Questi beni erano accessibili solo al mercato nero. Per cucinare bisognava usare il sale che si raccoglieva sugli scogli. Qualcuno usciva con una barchetta e si portava in prossimità della Ravia, dove il mare era più pulito, riempiva botti e damigiane d’acqua salata, e con quella si cucinava. Anche i panettieri in quel periodo usavano l’acqua di mare per impastare il pane.
Eleonora Mazzella abitava accanto alla Cappella dell’Addolorata a S. Maria e ricorda che la madre la incaricava di andare con un secchio a raccogliere l’acqua di mare sulla spiaggia, raccomandando di prenderla dalla parte del “Turone”, perché lì era più pulita. Il secchio, data la distanza, arrivava a casa dimezzato. Per cucinare, l’acqua di mare veniva mescolata con l’acqua dolce. Il 19 aprile di quell’anno, Domenica delle Palme, il papà di Eleonora morì e per costruire la bara si dovettero schiodare le tavole del letto, data la penuria di legname. Così facevano in tanti. Nei giorni che seguirono, nel portare i fiori al papà, Eleonora notò che il custode del cimitero teneva parate le reti per l’uccellagione delle quaglie. Le stendeva dalla cappella di S. Giuseppe fino a quella antistante di “Nanninella ‘i Parabula”. Nella rete ben stesa s’impigliavano le quaglie provenienti dall’Africa. L’uccellagione era proibita, ma si cacciava per sopravvivere e anche dal cimitero, ben esposto a sud, si poteva strappare un frammento di vita.
Per fumare ci si arrangiava c’a pruteca (“Inula Viscosa”), che cresce spontanea e abbondante nell’isola.
Però la popolazione si riversava nelle campagne soprattutto per raccogliere la verdura selvatica; ma anche questa presto finì. E allora da Santa Maria, dai Conti, dagli Scotti, da Le Forna, la popolazione si riversò sotto il municipio (attuale palazzo di Clorinda, in piazza Vitiello Gaetano) per protestare contro la carenza di cibo che stava rendendo la vita dei ponzesi insostenibile.
La gente gridava “Abbiamo fame!”
Il Sindaco Peppe di Monaco, uscì dal Palazzo Comunale per calmare la popolazione. Disse loro di arrangiarsi come meglio potevano perché si era in guerra e non era facile risolvere il problema dell’alimentazione e consigliò di andare in campagna a raccogliere verdure selvatiche per sfamarsi.
Dalla folla rumorosa si alzò il grido di Adelina “Pil’ russo”:
“Ma che verdura e verdura…che non esistono più piante. Se andiamo in campagna non riusciamo a trovare neanche ‘na fessa ‘i pecura. Ponza ormai l’abbiamo spelacchiata!”
‘A fessa ‘i pecura (Pulicaria odora, Fam. Compositae – N.d.R.) è una verdura che cresce piatta sul terreno, con foglie ricoperte da una morbida peluria ed è buona da mangiare lessata. Ma neanche più quella si trovava nelle campagne.
Bisogna considerare che al 20 luglio del 1943 all’Ufficio Centrale di Statistica per l’alimentazione del Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste risultavano esserci a Ponza, dichiarati, 168 capre, 55 asini, 351 pecore e solo otto bovini, i cui proprietari erano Antonio Aversano (un toro, una vacca da latte e un vitello slattato); Migliaccio Giovanni (un toro); Sandolo Rifugina (due vacche, di cui una da latte e un vitellino lattante) e Coppa Giovanni (una vacca comune).
Latte da mucca quindi ve n’era ben poco, e quando giunse di lì a poco Mussolini che aveva bisogno di latte per il suo stomaco malato, non ve ne era nemmeno per lui.
Ma il Comune ordinò a Rifugina, per il tramite dell’impiegato Giuseppe Zecca, di fornire al prigioniero Benito Mussolini 4 litri di latte di mucca al giorno, a spese dell’economato. Il latte venne garantito a Mussolini, ma Rifugina non vide nemmeno una lira. Il latte era molto richiesto e non bastava per tutti. Vi erano richieste anche da Le Forna, per nutrire i bambini. Allora Rifugina per cercare di accontentare tutti diluiva il latte di mucca con quello di pecora, con l’aggiunta di acqua.
Più facilmente si trovava latte di capra, quello di pecora veniva generalmente usato per il formaggio.
I medicinali, data la penuria di collegamenti, arrivavano in quantità insufficienti da Roma e da Napoli. Bisogna considerare che il 19 luglio lo scalo ferroviario di Roma era stato pesantemente bombardato dagli Alleati: i binari divelti e il traffico con Napoli reso difficoltoso. Dopo l’8 settembre anche i porti di Gaeta e di Formia vennero bombardati e il 17 novembre il viadotto dei 25 Ponti fu fatto saltare per interrompere la linea ferrovia che collegava la stazione di Formia al porto di Gaeta.
Persino i soldi che mandavano i parenti dall’America arrivavano con tre o quattro mesi di ritardo.
Il combustibile dall’Agip di Napoli, giungeva sempre più di rado.
La pesca, un tempo fiorente, con la guerra andò sempre più diminuendo, perché, come relazionerà nel 1948 il Segretario Comunale Di Monaco Francesco: “(…) durante il recente triste periodo armistiziale la produzione ittica è andata quasi completamente distrutta a causa dei mezzi esplosivi adoperati dai pescatori di frodo”.
Infatti il mare circostante l’isola era infestato da mine che giungevano a riva, soprattutto nel versante di Le Forna. Qui i pescatori le raccoglievano con cautela per svuotarle e ricavarne la polvere da usare per la pesca di frodo. Come ha già raccontato Raffaele Sandolo su questo sito, una volta – ma si era già nel 1946 – a Le Forna tre pescatori mentre tentavano di disinnescare una mina ne procurarono l’esplosione e morirono dilaniati.
Altre persone subirono mutilazioni nell’uso di ordigni per la pesca.
(L’Autunno del ’43 (3) – Continua)
Gino Usai