di Gino Usai
Gli Alleati nominarono Governatore dell’isola il confinato politico Tito Zaniboni, il quale diede vita al CLN locale, composto da: Temistocle Curcio per il PCI; l’avvocato Luigi Sandolo per il PSI; Aristide Baglio per il PLI; il dr. Silverio Martinelli per la DC; Maranola Vincenzo per il PRI (era il capoufficio postale di Le Forna, forestiero).
Il Comitato di Liberazione Nazionale aveva sede presso la sezione del PSI alla Punta Bianca, nell’attuale “Pasticceria da Gildo”. Ma Zaniboni dopo pochi giorni partì per proseguire in continente la lotta di Liberazione e il CLN di Ponza indicò come sindaco Giuseppe Di Monaco che riprese il suo posto di Commissario Prefettizio.
Il 25 settembre Mazzella Giuseppe, Aversano Giuseppe e Aversano Luigi mentre andavano a pescare nelle acque di Palmarola vennero chiamati da quattro tedeschi avieri armati che si trovavano a bordo di una zattera di gomma, precipitati da un apparecchio. I naufraghi chiesero di essere portati a Gaeta, invece vennero condotti a Ponza e consegnati ai carabinieri. Nei giorni seguenti vennero gli americani con un Mas e li portarono via.
Il 10 Ottobre del 1943 giunsero i Rappresentanti delle Forze Armate Alleate i quali fecero imbarcare a bordo del M/V “Antonio Feola” dei fusti di benzina e 150 metri di cavo di canapa appartenente alla Regia Marina.
Il 24 ottobre Ponza fu nuovamente soggetta a mitragliamenti e lancio di bombe da parte di aerei tedeschi. In località Fornelle una bomba colpì l’abitazione di Avellino Santa provocando il crollo di un cellaio, di una stanza e lesionandone altre due.
Cominciavano intanto ad arrivare con mezzi di fortuna i militari sbandati, come Giuseppe Catena il quale da Napoli riuscì a raggiungere Ischia e poi con il gozzo di un fornese, lì giunto per fare un po’ di provviste alimentari, riuscì ad arrivare a Ponza.
Uno zio di Silverio Mazzella detto ‘i Rifugina fece ritorno a Ponza insieme ad un suo commilitone con un gozzo rubato a Foce Verde, nel quale avevano nascosto una forma di parmigiano, anch’essa rubata. Il gozzo faceva acqua e venne calafatato con stoffa e sapone. Non alzarono la vela per prudenza, perché si poteva essere scorti dalla Guardia Costiera tedesca del Circeo. Navigarono pertanto di notte e a remi, puntando su Palmarola. Ma sbagliarono rotta e all’alba si trovarono 10 miglia oltre Palmarola. Ci vollero buoni remi e ottime braccia per raggiungere Ponza e la salvezza.
Molti altri militari fecero ritorno a Ponza in maniera ugualmente avventurosa; si racconta che uno arrivò addirittura da Viareggio.
Dopo di loro giunsero a scaglioni i profughi di guerra: nell’isola di Lagosta in Iugoslavia, il 20 settembre i partigiani di Tito fecero sgomberare l’isola da tutti i pescatori ponzesi che vi risiedevano da alcuni anni. Così Giuseppe Mazzella, con la moglie e tre figlie, fu obbligato, dopo quattro anni di permanenza, ad abbandonare la propria abitazione, tutti gli indumenti, il peschereccio con gli attrezzi da pesca e a tornare a Ponza. Stessa sorte toccò a Iodice Aniello, insieme ad una quindicina di pescatori ponzesi.
Ma l’elenco dei profughi sparsi per l’Italia che lentamente e faticosamente faranno ritorno nell’isola, raggiungerà negli anni successivi la cifra di 217 persone.
I parenti che non avevano più notizie dal fronte e non vedevano i loro congiunti arrivare, si rivolsero alle anziane del paese per le “orazioni”. Maria Grazia Migliaccio, la panettiera, era preoccupata per suo figlio Luigino imbarcato sul bastimento “Maria G.” di Michele Conte, insieme a Cristoforo ‘u russo, padre di Ninotto Mazzella. Il bastimento era stato militarizzato con tutto l’equipaggio. Così Maria Grazia decise di chiamare a casa Marietta ‘i Scassascogli, per farsi fare le orazioni e avere notizie del figlio. A mezzanotte in punto si misero fuori al balcone che dava sul mare e cominciarono le orazioni. Marietta recitò tre Ave Maria, un Pater Noster e un Credo. Profferì la formula di rito: “A nomme e parte ‘i Luigino…”. Poi il silenzio assoluto, nel quale Marietta doveva captare e decifrare ogni rumore. Dopo poco si sentì in lontananza il motore di una barca. Venne interpretato come segnale di buon augurio e Marietta, senza esitazione, predisse la salvezza e il ritorno del marinaio, per la felicità della mamma.
Infatti il giorno dopo, intorno a mezzogiorno, entrò in porto un bastimento con a bordo Luigino, che tornava finalmente a casa, sano e salvo.
Ma di Mazzella Antonio di Sopra i Conti, figlio di Giuseppe e di Margherita Di Meglio detta zi’ Rifugina, non si avevano notizie.
Era imbarcato su un sommergibile e quando tornava in licenza a Ponza raccontava in famiglia degli attacchi subiti con le bombe di profondità. Per confondere il nemico e sventare gli attacchi si lasciava fuoriuscire dal sommergibile olio e nafta, per far intendere che l’affondamento era avvenuto. Così la caccia finiva e il sommergibile si metteva in salvo dileguandosi nei fondali.
I parenti naturalmente erano molto preoccupati per l’alto rischio a cui erano esposti i sommergibili, ma il giovane si mostrava tranquillo e coraggioso, convinto di poterla scampare sempre col trucco della nafta. La corrispondenza con la famiglia era frequente. Ed avveniva tramite la Croce Rossa e il Ministero della Guerra. Ma poi passarono giorni e mesi senza che giungessero più notizie del giovane. La famiglia cominciò a preoccuparsi e a temere il peggio. Un giorno al Comune di Ponza giunse la notifica da parte della Croce Rossa dell’affondamento del sommergibile sul quale era imbarcato Antonio Mazzella, che risultava ufficialmente disperso. La famiglia cadde nell’angoscia: il sostantivo “disperso” era spesso un eufemismo che nascondeva una tragica realtà. Ma i parenti speravano ancora in un miracolo. Passò qualche mese senza più avere notizie e la famiglia cominciò a rassegnarsi al lutto. Poi un giorno la Croce Rossa inviò al Comune di Ponza l’elenco dei militari ponzesi impegnati sui fronti e la loro dislocazione geografica. In questo elenco Antonio Mazzella risultava vivo ma prigioniero.
Olga Mazzella, cugina di Antonio, impiegata al Comune di Ponza, si precipitò a casa dei parenti che abitavano sopra i Conti per comunicare la notizia che Antonio era vivo. La gioia dei familiari e di tutto il vicinato fu immensa: baci, abbracci, lacrime. Zi’ Rifugina, devota di S. Antonio, volle ringraziare il santo per aver esaudito le sue preghiere. Il giorno seguente i parenti e gli amici, una trentina in tutto, si recarono in chiesa presso la statua di S. Antonio per il ringraziamento; poi chiesero al parroco Dies di dire una messa per il Santo. Il parroco prese un tavolo e lo pose al centro dell’altare sul quale i familiari adagiarono la statua del Santo rimossa dalla sua nicchia. Rifugina si gettò ai piedi di S. Antonio ringraziandolo e piangendo in maniera struggente. Il parroco celebrò la messa con parole di pace e di conforto che commossero i fedeli, i quali contenti e felici fecero ritorno a casa.
Passarono altri giorni, mesi. Di Antonio si continuava a non avere notizie. E tornarono i dubbi e le paure. Un giorno finalmente si seppe che dalla prigionia era arrivata una lettera di Antonio Mazzella, ma era indirizzata a Erasmo detto zi’ ‘Ntonio, suo padre.
Rifugina a quel punto capì il tragico equivoco dovuto all’omonimia e pianse in maniera straziante la perdita del proprio figlio negli abissi sperduti di chissà quale mare.
(Continua)
Gino Usai