di Noemi D’Andrea
Il ponzese ‘genetico’ è una persona strana, la riconosci da vari elementi: dai tratti somatici, dagli occhi e da altri fattori. Penso che gli occhi dei ponzesi, frutto di chissà quale alchimia del DNA, siano particolari, a mio avviso belli e profondi come solo i popoli di mare sanno avere.
Sembra quasi che abbiamo rapito i colori del posto dove sono nati e cresciuti e la luce che emanano, unica, se la portano dentro, qualunque sia il posto nel mondo a cui la sorte li ha destinati.
Ho rivisto gli stessi occhi nei ponzesi in America, di Latina e la stessa sensazione l’ho avuta nei giorni scorsi, quando sono andata a Parigi a trovare Angela, amica d’infanzia.
Se stanziali, in terraferma, si ritrovano in gruppi, e tendono a riunirsi, come il mercurio quando lo dividi: piano piano le piccole gocce si riuniscono insieme, a formarne una grande.
Li riconosci perché ogni volta che li incontri, fuori da Ponza, ti chiedono sempre la stessa cosa: “Da quanto manchi dall’isola?”
Così come sono sempre le stesse domande che ti fanno quando arrivi a Ponza: “Quando sei arrivata? E quando riparti?”.
Ancora non ho capito se è una mera curiosità o il desiderio, inconscio, di liberare l’isola dai ponzesi non-genetici!
Altra caratteristica, simile a molti altri popoli di piccoli paesi, è quella di chiamare i propri compaesani con soprannomi, che spaziano da quelli di animali (Raostella, Canè, ’A Cestunia) a quelli di aggettivi (Facciabruciata, Panzatuost’, U’ Russ’) a quelli di cose (‘A Pisciazza) sino a collegarsi agli antenati che li hanno preceduti (’I Mariettina, ’A Culèra)
Ed in questo, perdonatemi, mi sento ponzese anche io, essendo soprannominata come ’a figlia d’ u’ngeniere.
Sono caratterizzati, inoltre, dalla notevole litigiosità, specie per le “proprietà” che ha fatto sì che Ponza sia il luogo con maggior numero di cause civili pro-capite, considerando questo, a mio avviso, un pregio, avendo tutelato nel tempo il territorio da speculazioni edilizie ed appropriazioni indebite.
Provate a costruire un muro in più o ad occupare un metro quadrato di un’altra proprietà a Ponza e vedrete che cosa succede! Per loro è vitale la difesa del diritto privato, mentre la difesa del diritto pubblico è quasi inesistente (purtroppo).
Ai forestieri il ponzese appare una persona chiusa, insensibile, forse perché lontano dalle etichette abituali degli abitanti della terraferma; difficilmente dice grazie, ma se sei nel suo cuore non ti caccia mai via.
Personalmente mi è capitato di verificarlo, quando le vicende della vita e maldestre persone estranee hanno provato a dividermi da una mia grande amica; per lungo tempo non ci siamo più sentite, quando ci incontravamo ci ignoravamo, nutrivamo nel cuore io l’amarezza del tradimento e lei la paura del confronto.
Ma come i veri grandi amori è bastato parlarci un giorno, dopo anni, e capire che eravamo cadute in un tranello, vittime entrambe di estraneità che con il tempo abbiamo abbattuto.
E il ponzese genetico è così, anche non parlando te lo trovi appiccicato addosso con lo sguardo, proprio quando ne hai bisogno, che ti tende la mano senza dirtelo.
Se hai avuto la fortuna di aver passato buona parte della vita con lui, ti lega a sé, per sempre.
E lo fa senza retorica, quando ti invita a mangiare il primo fellone della stagione o quando ti porta le uova del suo pollaio o le albicocche del suo giardino.
E sai che se hai bisogno, lui c’è, anche se difficilmente ti chiede se hai bisogno di lui!
Per il forestiero, il ponzese è approfittatore, è ingordo ed avaro, ma credo che questo aspetto sia il frutto malato della pianta che io chiamo turismo: una macchina malefica per fare soldi ancora mal gestita, che ha creato ingordigia, nevrosi e competizioni fuori misura.
E che purtroppo sta trasformando l’isola in un mega-villaggio turistico.
Ma questa è un’altra storia.
Noemi d’Andrea