di Lino Catello Pagano
Quando ero bambino, spesso e volentieri andavo a dormire a casa dei miei nonni materni.
La mia famiglia abitava in via Chiaia di Luna, all’angolo dove c’è lo spiazzo per il parcheggio, mentre i miei nonni abitavano sopra l’ultima casa, dopo quella di Pascale ‘a Russiell.
All’ora di cena mi prendeva la smania di andare a casa di mia nonna, perché sapevo che mi faceva trovare sempre qualcosa di buono.
Al momento di uscire mia madre e mio padre mi dicevano: “Fa’ a ‘mpresso, ma se no truov’ i munacielli”.
Dovete sapere che nel 1953-54 i lampioni per le stradine non esistevano; vi era una lampadina qua e una là, quando andava bene, e se si fulminavano vi era il buio pesto e per me il terrore totale. Quando scendeva il buio mia madre mi supplicava di non uscire di casa, io imperterrito e cocciuto dicevo di voler andare dalla nonna, e partivo. A quel tempo u’ Cannalone era una piccola stradina, accanto alla quale d’inverno scorreva u’ lavo che a volte si trasformava in un fiumiciattolo impetuoso che puliva tutto; ed io per andare da nonna dovevo attraversare un bel tratto di Cannalone.
Uscito di casa, percorrendo la stradina buia, canticchiando dalla paura, arrivavo davanti all’abitazione di Evelina Esposito; superato quel punto affrontavo il tratto più brutto, quello che attraversava i giardini di Salvatore ‘i Gualano. Qui cominciavo a cantare a squarciagola e a correre a perdifiato senza fermarmi, pensando ai munacielli che mi sembrava di vedere davanti agli occhi, con delle facce truci da nanetti gibbosi, con sulle spalle il sacco per infilarci i bambini. La strada da percorrere per arrivare dalla nonna non era molto lunga, ma nel buio a me sembrava interminabile. Questo avveniva tutte le sere.
Una sera si fece molto tardi, perché mia madre aveva deciso di farmi fare la doccia; il tempo era passato, e mia madre mi esortò a non andare dalla nonna e a restare a casa a dormire. Io, testardo come un mulo, decisi di andare a dormire dalla nonna. Ma quella sera non andò come tutte le altre volte. A metà strada, in prossimità d’i’ parracine ‘i Salvatore ‘i Gualano, vi era un palo con una lampadina appesa che dava una lucina fioca che quella sera, per mia disgrazia, era fulminata. Essendo buio pesto non potevo correre, allora mi misi a cantare a squarciagola: ad un tratto si pararono davanti due occhi di fuoco! Le mie urla arrivarono alle Forna; tutto il vicinato accorse a quelle grida. Intanto i due occhi fiammanti si avvicinavano sempre di più, ed io venni meno dalla paura. Quando mi ripresi ero a casa in braccio a mia madre che mi scuoteva, ed io, come un automa, dicevo tutto disperato: “Aggio visto u’ munaciello cu all’uocchi’i fuoco!”. Mia madre mi disse che ero svenuto e che avevo i capelli tutti dritti in testa dalla paura. Io piangevo come un matto per lo spavento. Lei rise a crepapelle, quando mi disse che il monaciello era il nostro cane Tom, dal pelo nero, che non avendomi visto rientrare a casa dalla nonna aveva pensato bene di venirmi incontro. Io invece raccontavo del mostro che mi era sembrato di vedere. La mia fantasia non sapeva dove arrampicarsi, sapendo che il giorno dopo sarei stato deriso da tutto il vicinato.
Dopo quella sera, che non dimenticherò mai, non sono più uscito con il buio fino a quando mia nonna non venne a vivere a casa nostra.
Quando sono a Ponza e di sera passo per quella strada, rido da solo e penso a quanta ingenuità esisteva un tempo, e rivivo quei ricordi con un sorriso sulle labbra.
Lino Catello Pagano
[Per un’altra storia di “Munacielli” vedi, su questo stesso sito: https://www.ponzaracconta.it/2011/02/23/“sulla-pesca”-chiacchierata-intervista-con-mimma-califano/ – NdR]