È facile parlare di Ernesto Prudente, il Maestro, molto più difficile avere dei ricordi forti con lui, che solo il suo carisma e la sua persona sanno lasciare in modo indelebile nell’anima.
La sua figura la ricordo come un filo conduttore in tutta la mia vita, da quando ero piccola ed andavano insieme con tutte le famiglie a fare “pasquone” al fieno, all’ultima volta che ho messo piede sull’isola, sentendo come un dovere, a cui non posso sottrarmi: andarlo a salutare al suo bar.
Ed ogni volta è una vera emozione, ogni volta mi racconta qualcosa, arricchendo la mia anima come solo una persona speciale come lui può fare.
Lo guardo rapita, saranno i suoi occhi maledettamente azzurri o la poesia con cui mi narra anche le vicende più banali, e devo ammettere che ogni volta mi intenerisco ascoltandolo.
Lo rivedo come quella volta che mi portò, insieme a Marcella la gemella (la mia amica di sempre) su a Palmarola, e durante tutto il tragitto mi indicava ora una pianta, ora un volatile, ora raccontava qualcosa.
Ed ancora ricordo le risate fatte quel giorno quando io, esausta dalla lunga camminata e sotto il sole maledettamente cocente di un pomeriggio di luglio, ebbi una specie di svenimento: si precipitò preoccupato, mi butto dell’acqua in faccia e mi disse: “picciré, vedi di riprenderti… che qui mica possiamo sprecare l’acqua addosso a te, che svieni come una pera cotta”.)
Ernesto è un’istituzione di Ponza, come il Colosseo a Roma o la Torre Eiffel a Parigi, ma la magnificenza è nel suo sguardo, pungente, lontano, profondo, quasi sempre assorto, è nella magia con cui mi racconta “i fatti”, con cui mi elargisce le sue perle di cultura, con cui mi trasmette emozioni che fanno brillare gli occhi.
Mi piace il suo incredibile senso di appartenenza a Ponza, di cui custodisce le tradizioni, la storia.
Ed il bello di tutti è che Ernesto non appartiene a nessuno.
Noemi d’Andrea