Da Antonio Usai alla Redazione di “ponzaracconta”
Sono stato per tanti anni commissario negli esami di Stato e di maturità e non mi è mai capitato di incontrare un insegnante di lettere che fosse al corrente della prigionia di Mussolini a Ponza. Certamente non per colpa loro ma perché nei libri di storia non ve n’è cenno alcuno.
E allora, intendo dedicare ai giovani di Ponza che quest’anno dovranno sostenere gli esami di stato, ma anche a tutte le persone intellettualmente curiose, il mio contributo, in quattro puntate, sulla presenza di Mussolini e di alcuni altri personaggi storici che sono passati dalla nostra isola nel periodo dell’ultima guerra mondiale.
Spero che questa mia iniziativa possa servire da stimolo per coloro che intendono preparare tesine sulla storia isolana o che, semplicemente, desiderano conoscere meglio il nostro passato e sviluppare un maggior senso di appartenenza e di condivisione di valori, i valori dei nostri padri e delle nostre madri, indispensabili per progettare e costruire un futuro migliore per la nostra comunità.
Per gli adulti ponzesi che già conoscono i fatti narrati, non c’è nulla o quasi di nuovo ma possono rappresentare un’occasione per rinfrescarsi la memoria!
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La partenza da Roma sotto scorta
La sera di martedì 27 luglio 1943, verso le dieci, Mussolini (1883-1945) lasciò Roma sotto scorta in autoambulanza. Giunto a Gaeta, fu subito imbarcato su una corvetta che, con i motori accesi, attendeva ormeggiata al molo Ciano.
La corvetta Persefone era una nave da guerra abbastanza veloce, faceva 18 miglia all’ora, di 670 tonnellate di stazza, lunga 64 metri e larga 8,7. Varata l’anno prima dai cantieri di Monfalcone, ebbe l’onore di trasportare il Duce nei luoghi di prigionia; venne autoaffondata nel porto di La Spezia dopo la firma dell’Armistizio per evitare che cadesse nelle mani dei tedeschi.
Sulla data della partenza da Gaeta le fonti consultate sono discordi: il parroco di Ponza, Luigi Maria Dies, nei suoi scritti anticipa erroneamente di un giorno detta partenza e afferma: “A Gaeta (Mussolini) fu imbarcato alle due (del mattino) del 27 luglio e fu sbarcato nell’isola di Ponza alle dieci del medesimo giorno, perché la Corvetta aveva fatto il giro di Ventotene”.
Mussolini stesso, nel suo “Diario nelle isole di Ponza e della Maddalena” – pubblicato da Garzanti nel 1952 in appendice al libro di Walter Hagen “La guerra di spie” – fissa la sua partenza da Roma per Gaeta verso le dieci di martedì sera, 27 luglio, e l’arrivo a Ponza mercoledì 28, dando così ragione ad un altro scrittore appassionato dell’argomento, Giampaolo Pansa.
Infatti Pansa, nel libro “Prigionieri del silenzio” – Sperling & Krupfer Editori; 2004 – così racconta l’arrivo a Ventotene della corvetta con a bordo Mussolini prigioniero:
«All’alba del 28 luglio, (la corvetta) si fermò al largo di Ventotene. Poco dopo, un ufficiale dei carabinieri si presentò al direttore della colonia e gli disse che l’ex capo del governo sarebbe stato sbarcato lì e custodito nell’isola. Il commissario Guida si rifiutò di accoglierlo. Spiegò: “Ho qui con me ottocento confinati politici, in maggioranza comunisti. Mussolini non uscirà più vivo da Ventotene, perché gli altri lo faranno a pezzi!”»
«L’ufficiale ritornò alla corvetta e di lì a poco sbarcarono a Ventotene i due grossi calibri che stavano sulla “Persefone”: l’ammiraglio Maugeri e il generale Polito, gli uomini ai quali Badoglio aveva affidato Mussolini, con l’ordine di imbarcarlo sotto scorta a Gaeta e di portarlo a Ventotene. Ma il dott. Guida riuscì a convincerli che l’ex Duce sarebbe stato più al sicuro da un’altra parte. In questo modo, l’ingombrante prigioniero venne poi dirottato a Ponza.»
I confinati furono informati personalmente dal direttore della colonia di Ventotene, Marcello Guida, della presenza di Mussolini a bordo della corvetta, ma soltanto dopo la sua partenza dall’isola.
Eugenio, che prestava servizio nella polizia confinaria di Ventotene, insieme ad altri commilitoni aveva capito che stava succedendo qualcosa di importante quel giorno sull’isola. Nel piccolo porto romano si notava un movimento concitato delle autorità civili e militari, ma mai avrebbe pensato di avere a pochi passi da lui il Duce in persona.
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Mercoledì 28 luglio, questa è la data corretta, Mussolini, lasciata Ventotene a bordo della corvetta Persefone, giunse a Ponza tra le dieci e le undici del mattino.
L’indomani, il 29, Mussolini avrebbe compiuto sessant’anni! Per l’occasione, qualche giorno dopo il suo arrivo sull’isola, ricevette dalla moglie Rachele un pacco di viveri spedito da Roma contenente un pollo, dei pomodori freschi, frutta, tagliatelle e una bottiglia d’olio, considerato una rarità allora a Ponza.
Secondo alcune fonti, il Duce avrebbe trascorso la prima notte nel piccolo carcere dell’isola, ubicato in un modesto edificio posto tra l’ex Pretura e la Torre dei Borboni. E l’indomani mattina, di buon’ora, sarebbe stato trasferito, via mare, in una casetta di Santa Maria, strutturata su due piani, con un terrazzo chiuso da una ringhiera, quella stessa che oggi ospita la Pensione Silvia, a pochi metri dalla spiaggia.
La spiaggia di Santa Maria: a sinistra la casa prigione di Mussolini
Il quartiere di Santa Maria era considerato più sicuro dalle autorità di Polizia, rispetto alla zona del porto, perché non poteva essere raggiunto né dai pochi confinati rimasti sull’isola, né dai nazionalisti slavi internati nei Cameroni, considerato che al tunnel di Sant’Antonio c’erano le garitte con i militi di guardia che proibivano il transito di chiunque non fosse residente nei quartieri di Giancos e di Santa Maria.
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L’arrivo di Mussolini fece pensare alla famiglia di Michelina Montella e a tanti altri ponzesi, che la dittatura fascista fosse ormai archiviata e che, con essa, fosse finita anche la guerra. Insieme ai sentimenti di gioia, nella testa dei Michelina si arrovellavano altre preoccupazioni: come bidella delle scuole elementari della Parata, con un contratto che veniva rinnovato di anno in anno dall’Amministrazione comunale, con il cambio del Podestà temeva di non vedersi rinnovare a settembre il contratto di lavoro, unica fonte di sostentamento per la sua numerosa famiglia.
Anche la figlia Lucia non dormiva sonni tranquilli: l’affondamento del piroscafo di qualche giorno prima era stato un brutto presagio ed ora, con l’arresto di Mussolini, temeva il peggio. La sua maggiore preoccupazione era rappresentata dal timore che Eugenio perdesse il lavoro nella Polizia confinaria a Ventotene e che la giovane famiglia, da un giorno all’altro, si trovasse in mezzo ad una strada.
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La permanenza del Duce a Ponza, sotto la vigilanza attenta di venti carabinieri, si protrasse per dieci giorni, fino a quando le autorità governative ritennero più sicuro trasferirlo in Sardegna, sull’isola della Maddalena.
A Santa Maria, per motivi di sicurezza, furono sgomberate tutte le abitazioni che confinavano con quella del prigioniero e queste furono occupate dai militari che lo sorvegliavano.
Il prigioniero lasciò l’isola proprio nel giorno in cui ricorreva il secondo anniversario della morte del figlio Bruno. Questi, provetto collaudatore di velivoli militari, il 7 agosto del 1941, a soli ventitré anni, per un malfunzionamento del carrello dell’aeroplano, si schiantò al suolo dell’aeroporto di Pisa, mentre era ai comandi del primo esemplare del bombardiere P108 costruito dalla Piaggio aeronautica di Pontedera.
Bombardiere P108 della Piaggio Aeronautica – Anno 1941
Nel suo Diario ponzese, il Duce così racconta la sua partenza improvvisa: «Verso l’una sono stato svegliato con le seguenti parole: “Pericolo in vista! Dobbiamo partire!”. Mi sono vestito in tutta fretta, ho raccolto i miei oggetti e le mie carte e mi sono recato su un incrociatore che mi attendeva. Sono salito a bordo ed ho incontrato l’ammiraglio Maugeri che mi ha detto che la nuova tappa era l’isola della Maddalena, presso la Sardegna.»
I ricordi del dittatore
In un’intervista pubblicata postuma dalla rivista «Meridiano d’Italia» il 15 giugno 1947, Mussolini così ricorda il suo soggiorno forzato a Ponza:
«A Ponza alle tredici, buona parte della popolazione era radunata al porto. I maggiorenti del paese: podestà, medico, farmacista, parroco, mi si fecero incontro, mentre alcune popolane, seguendo un’antica tradizione, mi facevano omaggio delle primizie del suolo. Un buon sacerdote, saputo che non avevo di che leggere, mi donò ‘La Vita di Gesù’ del Ricciotti. Fu questo l’unico libro che per parecchi giorni ebbi a disposizione, nella piccola casetta verde in riva al mare.»
«I flutti venivano a frangersi contro la scalinata, sulla quale stavo seduto per lunghe ore, l’occhio fisso sulla immensa distesa del Tirreno, ossessionato dal timore di scorgere da un momento all’altro, all’orizzonte la sagoma di un incrociatore di Sua Maestà britannica. In tal caso per me sarebbe finita.»
«L’isolamento si andava facendo ogni giorno più rigoroso. Le case contigue erano state evacuate e la popolazione era tenuta lontana a causa della simpatia che dimostrava. Cinquanta carabinieri ed altrettanti metropolitani formavano attorno alla mia casetta una insormontabile cintura di vigilanza, mentre agenti specializzati, in borghese, si tenevano pronti a stroncare qualsiasi tentativo di fuga o di liberazione. Gli elementi di questo imponente apparato di forze venivano sovente sostituiti per tema che si lasciassero cogliere da qualche improvvisa debolezza.»
«Nelle dieci giornate che vissi a Ponza potei scambiare qualche parola soltanto con il tenente colonnello Meoli, con il sottotenente Di Lorenzo e col Maresciallo Antichi. Con loro facevo qualche partita a carte e sotto la loro sorveglianza mi era permesso fare qualche bagno in mare in un punto assolutamente isolato e praticamente inaccessibile. Dal Di Lorenzo ebbi in prestito una edizione scolastica delle “Odi Barbare”. Ingannavo il tempo tentandone la traduzione in tedesco. Giornali niente; quindi ero all’oscuro di quanto avveniva nel mondo. Ma non per questo disperavo, tanto più che mi fu recapitato un incoraggiante telegramma di Göering. Diceva: “Mentre il Führer m’incarica di esprimervi la sua ferma amicizia, vi prego di sentirmi a voi vicino…”. Ma intanto che ne era dell’Italia?… Che ne era della mia famiglia?…»
I ricordi del Duce appaiono confusi, in relazione alla citazione del libro “La Vita di Gesù”, scritto dal Ricciotti, che non era un dono del parroco Dies, ma l’aveva portato egli stesso da Roma.
Antonio Usai
(1. Continua)