Ricevuto in ‘Redazione’
In un dattiloscritto che ci ha fatto pervenire, Ernesto Prudente notava che sono passati i tempi in cui si presentava la propria moglie dicendo A fémmena mia; oggi tutti dicono ‘Mia moglie’ e ‘Mio marito’; cioè a dire, in ponzese: “Chest’ è muglièrem’ e “Chist’ è marìt’m’. Ma si presuppone un vincolo matrimoniale, ratificato dalla Chiesa o quanto meno dalla legge civile.
Per le altre unioni, anche profonde ma non passate per le Istituzioni, è invalso l’uso di dire ‘La mia compagna’, ‘il mio compagno’.
Non piace questa dizione ad Ernesto, e non ne fa mistero. Scrive infatti: “…spesso, quando la sento, vengo attanagliato da un senso di avversione, di insofferenza, anche; perché ho l’impressione – sinonimo di certezza – che chi si presenta così, si senta menomato”.
Propone invece Ernesto, con dotte motivazioni – dopo lungo cogitare tra sé e sé e con gli amici – e citando a sostegno anche il Tommaseo, il termine ‘Consorte’: ovvero “colui o colei che è partecipe della medesima sorte, che condivide gli stessi sentimenti, spartisce gli stessi stati d’animo”.
Preconizza, Ernesto, un futuro in cui qualcuno gli presenti la sua donna dicendo: Zi’ Ernè, chest’è ‘a mia consorte, vide quant’è bella! Oppure: Zi Ernè, chiste è u’ mio consorte!
Solo, raccomanda: …Uè, aìte fa’ am’presse, pecché stonghe ‘ncoppa a luvàte!
Noi auguriamo ancora cent’anni di vita operosa e testa lucida a zi’ Ernesto, ma gli facciamo rispettosamente notare che consorte sarà sì politicamente corretto e valido dal punto di vista lessicale, ma suona ‘poco ponzese’…
Quanto più bello invece il vecchio modo di dire che si sentiva in altri tempi: A’ ‘nnamurata mia… U’ ’nnamurate miie, espressione che però non si applicava più quando i duie ’nnamurat’ si sposavano.
E come mai?
Siccome le parole qualcosa significano – dicevano i latini ‘Nomina sunt consequentia rerum’ – perché non chiederci se è possibile restare – e dirci – innamorati anche dopo il matrimonio?
Spunti a partire dal libro di Ernesto Prudente: “Scorribande nel passato”