di Antonio De Luca
U’ voie marino, letteralmente ‘il bue marino’, così veniva chiamata la foca monaca (Monachus monachus) nell’isola di Ponza. Ancora intorno agli anni ’40 e ’50, le nostre isole erano dimora delle foche. Qualcuno ne ricorda il muggito sonoro, da cui il nome popolare di bue marino. La fantasia della gente su tali suoni, di solito amplificati dal cavo delle grotte da cui provenivano, ha ricamato terrificanti leggende. Il fatto che dimorassero nelle grotte dimostra come già da allora esse non avessero molto spazio vitale all’esterno, sulle coste dell’isola, e che venissero combattute dai pescatori, con i quali erano in aperta, accanita, mortale competizione.
Si sa per certo che la ‘grotta azzurra’ nella baia del porto, la grotta sottostante la Torre dei Borboni e tutte le altre grotte sparse lungo l’isola fossero abitate da foche; noi bambini spesso andavamo nella grotta azzurra a cercare prove della loro presenza,cioè escrementi. Anche la spiaggia del Frontone era meta delle loro soste al sole e talora esse si spingevano in avanti fino alle vigne; qualcuno ricorda averle viste mangiare la dolce uva di Frontone o starsene al sole sugli scogli delle Formiche. Una signora delle Forna raccontava che lei da bambina le vedeva prendere il sole sotto gli scogli alla Montagnella, qualcuno racconta che spesso nel porto saliva le scale di Punta Rossa fino nella piazzetta sovrastante.
Questi elementi possono dare l’apparenza di una pacifica coabitazione ma in realtà ai ponzesi la presenza della foca dava molto fastidio, sia per i danni che procurava ai pescatori sia come elemento disturbatore di una vita condotta sul filo della precarietà, dell’ignoranza e della miseria e perciò anche della paura. Mio nonno mi diceva che già il padre gli raccontava dei danni che provocava ai pescatori – siamo alla metà dell’ottocento – e che lui da bambino di foche ne vedeva parecchie, tutt’intorno all’isola, e che la loro distruzione era un bene.
Queste affermazioni hanno una spiegazione diretta e convincente nella nascita dell’attività della pesca una volta che l’isola fu del tutto colonizzata, attività trainante per la neonata economia isolana di cui gli isolani traevano sostentamento. Ebbene le foche la danneggiavano, infastidivano i pesci, facendoli scappare dai bassi fondali, rompevano le reti sia quando si impigliavano che quando strappavano i pesci catturati; ma soprattutto rompevano le nasse per mangiare le aragoste e i polipi di cui sono ghiotte.
I pescatori si difendevano ponendo lacci strangolatori vicino alle nasse, ma già le reti ne facevano una strage, un po’ come oggi i delfini con le spadare. Tuttavia fino a quando la pesca non divenne intensiva e generalizzata la loro presenza fu motivo di aneddoti. Si racconta come a Le Formiche, un banco di scogli a circa un miglio dalla costa sud, ce ne fosse una che aspettava i pescatori di “rotondi” e, dopo aver pasteggiato, se ne andava; questo comportamento era ricorrente, quasi un tacito appuntamento. Così come, mi raccontavano da bambino, era naturale trovarsi accanto una foca quando si andava per mare, come compagna allegra e rumorosa.
Il tempo preciso della sparizione della foca monaca da Ponza non è documentato; molto probabilmente avvenne in periodi in cui non c’era né tempo né voglia di riflettere su fenomeni di tale genere e c’era scarsa sensibilità ambientale.
Di certo scomparve per motivi naturali ovvero legati alla storia dell’uomo di allora, restrizione dell’habitat, impoverimento delle risorse alimentari, lotta dell’uomo per la sua sopravvivenza. Oggi non sarebbe così, un vero peccato per tutto il Mediterraneo.
L’inverno scorso, nei piccoli porti della costa fuori Dublino, ho visto le foche grigie vivere tranquille e indisturbate tra le barche con i pescatori, che davano loro il pesce avanzato, mentre i bambini dalle banchine del molo buttavano pezzi di aringhe e di merluzzi. E mi io mi sono visto portato indietro nel tempo, ai racconti di mare della ma infanzia.
Avvistamenti accertati della foca monaca a Ponza
– Nelle mie prime ricerche, persona amica e di grande attendibilità mi dice che già nel 1995 al faro della Guardia, vicinissimo allo scoglio a lato della Scarrupata, pochi metri dalla punta rocciosa, una foca monaca viene avvistata al mattino presto con la testa fuori dall’acqua.
– Luglio 2005, località Scarrupata, lato faro della Guardia: ore 22.30 vista su uno scoglio da un raccoglitore di lumache di mare; emette due suoni e si tuffa in mare. Viene vista nella sua interezza. Nello stesso anno in estate al faro della Guardia a circa 3 metri della punta rocciosa intorno alle 7 viene avvistata con la testa fuori dall’acqua.
– Luglio 2009. Viene vista una coppia di foche monache nella baia di Lucia Rosa, alle ore 6.30; notato il colore del manto: marrone-bluastro.
– 3 settembre 2009, isola di Gavi primo scoglio verso Zannone, ore 18.30: un singolo individuo, maschio, si alza con la testa fuori dall’ acqua a scrutare intorno. Nello stesso giorno un pescatore subacqueo la individua appoggiata in una prateria di posidonie; sembra che dorma, ma alla vista dell’uomo va verso il sifone della grotta di Gavi che guarda Circeo.
L’isola di Gavi è poco frequentata dal turismo ed è ricca di grotte subacquee che poi si aprono in sifoni interni, ottimo rifugio e habitat nei periodi estivi.
Notiziario WWF – Luglio 2010
La foca monaca è oggi uno degli animali più rari e minacciati di estinzione al mondo. Attualmente la stima è di 300 esemplari, prevalentemente tra le isole greche e turche.
In Italia è stata avvistata quest’estate intorno alle coste dell’isola del Giglio e a quelle di Ponza e Zannone.
Antonio De Luca