Ci provo anche io, a lasciare una debole traccia su un foglio prima che il tempo, ahimé, sbiadisca per sempre i ricordi.
Parlare di Ponza è per me sempre motivo di tenerezza, è provare un sentimento simile a quello che ritrovo oggi guardando i sorrisi dei miei figli, di amore puro.
Mio padre arrivò nell’isola nel 1959, e subito subì l’ammaliazione di tanta bellezza.
È facile dire che Ponza è bella, niente di più scontato; il difficile è riuscire a chiudere nel proprio cuore l’amore che si prova per lei, come la passione per una bella donna o l’amore incondizionato per un figlio. E’ un qualcosa che ognuno porta dentro, senza dividerlo con nessuno.
Da quanto ci ha raccontato, appena giunto sull’isola si sconvolse per l’aria che gli trafiggeva i polmoni, un’aria diversa, forse troppo piena di ossigeno. E racconta la gente di allora, di certo diversa, con cui cominciò a socializzare. Impresa non facile, neppure per lui, uomo di estrema umiltà e semplicità.
Ed incominciò il suo amore per lo scoglio, come lo chiama lui, che coinvolse in seguito mia madre, giunta la prima volta sull’isola nel febbraio del 1960, dopo un viaggio durato 6 ore sul bastimento “Papà Vincenzino”, con sbarco alla miniera di Le Forna.
Lì avevano preso casa, sulla Piana, la casa degli Iodice.
Mia madre ancora ricorda i pianti, le lacrime che scendevano copiose dai suoi occhi quando si rese conto di dove era capitata: un paesaggio quasi lunare, di completa solitudine, che mal si addiceva a lei. La prima persona che le si avvicinò fu Elena Sandolo, che in seguito divenne per noi come una seconda nonna.
E così è cominciata la storia della nostra numerosa famiglia, storia che ci ha legato e ci lega ancora in modo indissolubile all’isola.
Tutta l’infanzia mia e dei miei fratelli è a Lei legata, le pasquone al fieno con Ernesto Prudente, con Giustino e con la famiglia di De Luca Aniello, mio compare di battesimo, le uscite a Palmarola con la famiglia di “Salvatore panzatosta”, i bagni a S. Antonio con i tuffi dalla scogliera di Gennarino a Mare o dietro la caletta, la ricerca delle “pinne” e delle “vele” sotto la sabbia, le gare sull’albero della “gallina” o la gara di cocomero sugli Scotti per la Madonna della Civita.
Ricordo ancora “Gennarino il matto” che veniva a mangiare, la mattina presto, la pastasciutta a casa nostra, quando ritornava dalla messa mattutina; i sorrisi di “Silverio il matto” nel suo inseparabile cappotto; i pranzi al frontone con l’ambasciatore Alverà o l’inaugurazione dell’hotel Chiaia di Luna, a cui mia madre ci aveva precedentemente “addestrato” con un corso intensivo di galateo, per non fare brutta figura.
Ancora ricordo il taglio del nastro della centrale elettrica di Giancos, le visite a casa di Guido “la Perchia” a Le Forna o le nostre spedizioni sulla Ravia a casa di Claus il tedesco.
E come poter dimenticare quando abbiamo lavato Roberto “Scarrafone”di tutto punto, gli abbiamo tagliato i capelli e rivestito con pantaloncini e maglietta, nella speranza, vana, di levarlo dalla spiaggia di S.Antonio dove si recava giornalmente con il suo pezzo di sapone a lavarsi.
O “le ciappe” che il dr. Sandolo mi ha messo sotto il labbro in seguito ad una rovinosa caduta sugli scogli di S.Antonio, mentre spiavamo “la soricella” che preparava le pizze.
Come dimenticare i giochi sulla spiaggia con il dr. Mario, il farmacista, o il primo bagno a Chiaia di Luna, di nascosto da Mamma, una sorta di iniziazione all’adolescenza.
E quella volta che facemmo avaria con la nostra pilotina tornando a fine stagione da Ponza a Terracina e che ci trainò in porto, alle quattro della mattina, la barca di “Faccia bruciata” che stava pescando fuori Zannone, e a cui Ernesto Prudente girò l’allarme recepito a Palmarola via radio?
Faccia bruciata è venuto a mancare da poco, ed il destino, beffardo, ha voluto che io lo accogliessi a Latina quando lo portarono con l’elicottero da Ponza, allarmata dalle figlie, Civitina e Carmela che arrivarono il giorno dopo; ed ancora ho i suoi occhi incollati ai miei, quando spaurito cercava un viso amico ed io gli parlavo di quell’antica avventura, in cui lui ci salvò.
Non so se mi ha ascoltata, ma i suoi occhi mi fissavano lucidi.
E quando nacque Marianna, figlia di Civitina e Benedetto Sandolo, partorita in casa, con l’ostetrica arrivata da S.Maria e mia madre come aiutante: abbiamo passato tutta la notte, indimenticabile, a bollire acqua e lavare pezze, ad ascoltare le urla disumane della partoriente mentre il marito, uomo vero, levava ogni tanto lo sguardo dal suo “Tex” per sapere a che punto si era con l’impresa.
Come dimenticare le vacanze invernali con il teatro di Gino Usai, animati dalle nostre idee rivoluzionarie, o i tornei estivi di calcetto a S.Antonio, con la nostra squadra di “femmine” che giocava a calcio (e quando mai!) contro le parioline romane!
Ho visto il mutare dell’isola sotto i miei occhi, il cambiare della gente, il mutare dei loro cuori.
Mi dispiace solo di non poter andare più a Chiaia di Luna a fare il bagno, di non poter andare a piedi alla spiaggetta dei nudisti, di non poter più scendere le scale per andare a Cala Inferno e di non poter fare il bagno nel porto di S.Antonio, circondata dai cavallucci marini.
Mi dispiace di sentirmi estranea quando vengo a Ponza, circondata da un’orda di rumeni che parlano una lingua che non comprendo, attorniata da gente che non ama l’isola, ma che sembra la sfrutti e la violenti ogni giorno di più.
Mi dispiace che l’isola si spopoli d’inverno, che tutti vadano via, e le rare volte, ormai, che vengo mi sento circondata da volti estranei, anonimi.
Mi dispiace che ci sia sempre meno pesce da pescare e più immondizia da smaltire.
Mi dispiacciono molte cose, inguaribile romantica che sono!
Non voglio fare retorica, non ne sono molto capace, voglio solo ancorare la mia anima a tutti i bei ricordi che Ponza mi ha donato, a tutta la brava gente che mi ha fatto conoscere, e ringraziare anche Voi, di Ponza Racconta, che mi avete permesso di legare ancora di più a Lei la mia anima.
Che sia questo solo un foglio di appunti e di ricordi di una come me che, intorno ai cinquanta anni, ha ancora il desiderio (benché irrealizzabile) di un ritorno al passato, e la speranza di rendere migliore il futuro.
Un abbraccio a voi tutti
Noemi d’Andrea.