Lontano da Ponza

Montecristo, isola dei pescatori

MONTECRISTO, ISOLA DEI PESCATORI

Drammi e avventure, sogni e successi dei pescatori ponzesi a sud dell’Elba, nel secolo scorso, con storie, leggende, misteri e curiosità.

di Raffaele Sandolo

L’Isola di Montecristo, chiamata Mons Christi dagli antichi romani, appare in lontananza così maestosa nel suo silenzio. Come una cattedrale di granito si erge dal mare e rassicura  il navigante che cerca riparo dalle tempeste. Fa parte dell’Arcipelago Toscano e dipende dal Comune di Portoferraio anche se si trova a sud dell’Isola d’Elba Le sue coste, frastagliate con scogliere ripide e selvagge, nascondono grotte sul mare in basso ed una vegetazione selvaggia fatta di pinete più in alto. Sulle rocce granitiche della montagna, dove nidificano il falco e l’aquila, appaiono talvolta, con fare disinvolto, branchi di capre selvatiche. Nei fondali profondi del suo mare si trovano pesci di ogni specie. Ovunque si respira aria fresca, estasiati dal fascino della natura.

Nel lontano passato Montecristo ha dato riparo a naviganti fenici, greci, romani, liguri, saraceni, spagnoli, francesi, inglesi. E’ sempre stata vista come l’isola sperduta e incontaminata. Scrittori famosi come Alexandre Dumas, padre, con il romanzo “Il conte di Montecristo”, ma anche altri artisti,  hanno contribuito a creare la sua immagine leggendaria e misteriosa. La natura, ancora selvaggia, è stata protetta, sin dal 1921, dai coraggiosi guardiani  ed oggi l’isola è controllata anche dalle Guardie del Corpo Forestale. E’ proibita visitarla senza particolari autorizzazioni rilasciate dal Corpo Forestale di Follonica e dal Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano.

Vivono ancora, nella fantasia dei pescatori,  le leggende di Montecristo soprattutto le lotte di San Mamiliano con il drago, le orme del Santo, l’acqua miracolosa della Grotta del Santo, le scorrerie dei barbareschi Corà Mustafà , Dragut, Kair-ed-Din, Assain-Ras, il tesoro dei monaci camaldolesi, gli ori e i coralli nascosti negli anfratti dell’isola e … poi la vita semplice nella natura incontaminata.

Carlo Ginori, fiorentino,  acquistò Montecristo verso il 1890. Ospitò sull’isola personaggi famosi (1). Allegre brigate partivano da Livorno e, viaggiando con lo yacht Urania, arrivavano a Cala Maestra. Sull’isola incontravano, di tanto in tanto, pescatori liguri, corsi, napoletani e ponzesi.  Nel 1899 l’isola passò ai Reali d’Italia.

Primi pescatori

Ai primi del 1900 si hanno notizie della presenza, a Montecristo, di pescatori provenienti dalla costa napoletana e dalle isole ponziane.

Da quel momento si parla di Montecristo come l’isola dei pescatori accettati benevolmente dai Sovrani di Casa Savoia. Sull’isola cominciano a vivere con continuità. Navigano presso le sue coste andando talvolta verso lo Scoglio d’Africa (Africhella) e verso Pianosa. Parlano dialetti diversi e si frequentano a Cala Maestra (ex Cala del Re).  Vivono per lunghi periodi lontani dalla propria casa, pescando e pensando alle famiglie lontane. Alcune testimonianze del 1910 parlano di pescatori ponzesi che vivevano e pescavano a Montecristo. Si sentivano sicuri con le barche e ancoràvano a Cala Maestra. Erano i fratelli Emiliano e Ciro Sandolo, di Ponza (Le Forna) e altri pescatori ponzesi come i Vitiello e i Feola. Questi pescatori, con equipaggio formato dai figli, partivano con barche a remi e a vela lasciando le famiglie. Viaggiavano verso nord anche per più settimane, soffrendo la fame, con pericoli di ogni tipo.

Raramente, in quegli anni di inizio secolo, si vedevano a Montecristo i Reali italiani Vittorio Emanuele III e Elena di Montenegro. Verso il 1920 l’isola ebbe il primo guardiano di Casa Savoia, Mario Galli (Abbrivo), a cui succedette, nel 1922, Francesco Tesei, ambedue campesi.

Con loro i pescatori  impararono a rispettare l’ambiente consapevoli che solo la natura  può dare il profondo senso della vita e della morte.

Sviluppo della pesca tradizionale


Nel mare di  Montecristo pescavano, nel periodo 1925-35, Emiliano Sandolo ed i figli Vittorio, Silverio ed Aniello, con il San Giuseppe, barca a vela e remi di 5-6 metri. C’era pure il fratello Giuseppe Sandolo (Pizze ‘i Pistola) con i figli Giovannino e Stefano. Con loro, nel 1931-36, pescava anche Alessandro Iodice. Tutti avevano dei buoni rapporti con i Sovrani d’Italia, in vacanza sull’isola.

Giuseppe Calisi, con i fratelli Raffaele e Gennaro (poi andato in America) assieme al padre Aniello, pescava ad est e sud dell’Elba. Spesso portava il pesce a Portolongone (oggi Porto Azzurro), dove abitava. Alla fine della Guerra i Calisi si stabiliscono a Marina di Campo. Altri pescatori vivevano a Portolongone, Pietro Mariggia, Guarino Marigliani, originari di Terracina. Pescavano lungo la costa  a est dell’Elba ed ogni tanto si allontanavano verso  Montecristo con le loro barche, a vela ed a remi, usando reti e palamiti. I pescatori ponzesi rimanevano lontani da Ponza per tutto il periodo  primavera-estate-autunno e ritornavano a fine stagione con le barche colme di pesce essiccato che serviva per l’alimentazione invernale, dopo aver dato una parte ai marinai come retribuzione. Portavano con sé anche delle bottiglie d’acqua della Grotta del Santo e dell’erba medicinale (Erba Corallina) presa in mare. A Montecristo pescavano aragoste ma anche dentici, scorfani, murene e polipi usando nasse e reti.  Raramente portavano all’Elba, per la vendita, il pesce pescato. A Montecristo l’alimentazione era molto semplice e povera. I pescatori mangiavano pesce arrosto o lesso o in umido (con salsa di pomodoro), cicerchie e fave lesse, verdura selvatica (cicoria) cotta e poi pane secco, gallette e “freselle”. Non c’erano divertimenti ma solo momenti di riposo. Si passava il tempo chiaccherando o giocando a “la maniglia”, gioco tipicamente ponzese con carte napoletane. Talvolta incontravano anche i guardiani e i vari frequentatori dell’isola, guardati da lontano dalle capre selvatiche e dai gabbiani. Nello stesso periodo altri pescatori meridionali erano presenti a Marina di Campo, Marciana Marina e Porto Azzurro. Fra questi c’erano Salvatore Costantino (Tatò), Francesco e Antonio  Greco e Pasquale Esercitato. Pescavano lungo le coste e talvolta si avventurano verso sud nelle acque di Montecristo. Le loro attrezzature da pesca erano i tramagli e le sciabiche da spiaggia. Portavano a terra cesti di  triglie, salpe, scorfani, lecci, cefali e “bianchetti”. Il pesce veniva   venduto a “scambio merci”, nelle vicine campagne e nei paesi di montagna. Negli anni successivi nuovi pescatori ponzesi si avventurano verso nord, a Montecristo,  lasciando Ponza ogni anno.  Usavano le nasse, le reti di alto fondale  e uno strumento speciale chiamato “ingegno” , per la pesca  del corallo. A fine stagione i “corallari” (pescatori di corallo) vendevano il pescato a Torre del Greco. Gli ancoraggi a Montecristo erano molto sicuri e l’accoglienza buona ma la vita sul mare difficile. Non erano rari i casi di disgrazie. A quei tempi era diffusa la superstizione. Le trombe marine erano “maledizioni di Dio” e taluni animali, come il leone marino (foca monaca), facevano paura ai pescatori. Inoltre, non avendo mezzi tecnici di comunicazione, era  impossibile l’interscambio di notizie con le famiglie e come pure contattare i medici in caso di necessità. Dal 1933 al 1938, i pescatori ponzesi, ampliarono la presenza nel mare di Montecristo e di Pianosa. La pesca andava bene ma si guadagnava poco. La miseria era diffusa e si lavorava per sopravvivere.

In quel tempo, i Sovrani d’Italia  frequentavano sempre più Montecristo, considerato il loro “nido d’amore”. Erano molto amati e rispettati dai pescatori. La regina Elena, molto benevola con i ponzesi, vista la vita precaria, decise di donare loro il magazzino di Cala Maestra, da utilizzare sia per abitazione temporanea che come ripostiglio per le attrezzature da pesca. Nel magazzino hanno alloggiato più volte, ma per tempi brevi,  delle famiglie di pescatori compresi i bambini. Verso il 1936 si cominciarono a vedere le prime barche a motore Bolinder (testata calda), sempre  però con l’ausilio della vela e dei remi. Potevano spostarsi più agevolmente e con maggiore sicurezza. Dal 1937 al 1938 alcune famiglie ponzesi decisero di stabilirsi all’Isola d’Elba: Stefano (Panzone) e Pompea Sandolo, Giovannino (Sarchiapone) e Antonietta Sandolo, Silverio (La Tramontana) e Annunziata Sandolo, Aniello (Aniello il mago) e Santina Sandolo, Aniello (Aniello-Aniello) e Romilda Vitiello si fermarono a Marina di Campo mentre Agostino (La Cianella) e Ferminia Romano, Silverio (Chiaravalle) e Stella Feola si fermarono a Marciana Marina. Qui vennero anche Silverio De Martino e   Arturo Vitiello, tutti originari di Ponza.

Le loro barche a motore si chiamavano le Tre Sorelle, i Tre Fratelli,  il Sant’Emiliano, a Santa Lucia a mare, la Felicia, il Vulcania.  Pescavano sia lungo le coste dell’Elba che nei mari di  Montecristo, Pianosa e l’Africhella. All’Elba iniziò a formarsi una piccola colonia con usi, costumi e linguaggio dialettale ponzese. I pescatori frequentavano la chiesetta del porto dedicata a San Gaetano, a Marina di Campo, come pure la Grotta di San Mamiliano, a Montecristo, che presenta ancora oggi, come testimonianza e memoria storica, degli ex voto. Per la pesca, però, si invocava ancora la protezione di San Silverio, patrono di Ponza.

La vita procedeva più tranquilla ma sempre con sacrifici. Si pescava per qualche giorno e poi si ritornava alle case campesi, attesi dalle famiglie. In quel periodo nelle acque di Montecristo, assieme a Giovannino Sandolo, pescava Aniello Calisi (Cazz’i re). Basso di statura e bizzarro, era  famoso fra la gente ponzese. Si racconta che frequentasse la Villa Reale di Montecristo e fosse benvoluto dalla regina Elena con la quale ballò più volte. Tornò a Ponza, ritornò più tardi (1960-1965) all’Elba lavorando con la barca di Angelo Feola (Ciaccionazzo)  e poi imbarcato su dei pescherecci a Marina di Campo. Ancora oggi, novantenne, vive a Ponza con i ricordi del passato. Montecristo, in quel periodo d’anteguerra, era molto accogliente e il suo mare era ricco di pesce e corallo. I pescatori, ritornando periodicamente alle loro case sull’Elba, portavano con sé, assieme al pesce,  i prodotti dell’isola come la carne di capra selvatica, le carrubbe, le melecotogne e le marmellate fatte da Bastiana Tesei moglie di Francesco.La notizia del mare pescoso di Montecristo si diffuse ovunque, particolarmente a Ponza. Partirono Gennaro Calisi, Giuseppe Morlé, Aniello, Michele e Vittorio Sandolo. Furono attratti anche Michele e Biagio D’Isanto, Giovanni e Francesco di Fraia, abitanti a Marina di Campo.

Caos e ricostruzione

Con l’entrata in guerra dell’Italia, nella Seconda Guerra Mondiale, la pesca  si fermò. La maggior parte dei pescatori partirono per fare il militare nella Regia Marina. Stefano Sandolo, alle dipendenze di Casa Savoia,  faceva servizio di trasporto merci dall’Elba per Montecristo e Pianosa. Riusciva pure a pescare, con mille difficoltà, collaborando con Francesco Tesei, il guardiano, e la moglie Bastiana. All’inizio della guerra l’isola ospitò un presidio di soldati italiani e successivamente, verso il 1943 e per pochi mesi, una installazione militare italo-tedesca. Dopo lo sbarco degli Alleati all’Elba ed un primo assestamento della situazione, si tentò di riprendere l’attività  di pesca. In Italia c’era l’incertezza politico-istituzionale e per Montecristo fu l’inizio del caos. Rimase totalmente abbandonata e diventò la base per il contrabbando. Arrivarono barche da ogni parte: Corsica, dal Giglio e da Santo Stefano. Pescavano ma fecero anche distruzioni e razzie. A Marina di Campo la vita cominciava a riprendere. Il Comune di Campo nell’Elba ebbe i primi sindaci (3) . Iniziava la ricostruzione. La pesca era l’attività prevalente assieme alla produzione di vino e l’escavazione del granito. La fiducia cominciò a rafforzare gli animi. Nell’estate del 1945 Aniello Vitiello e i fratelli Aniello e Silverio Sandolo, con la motobarca Sant’Emiliano, ostacolati da grandi difficoltà, ricominciarono a navigare verso Montecristo. Anche Stefano Sandolo con la Maria Assunta (Zazà) , Giovannino Sandolo con i Tre Fratelli, Silverio e Salvatore Romano con la S. Lucia a mare cominciarono la loro attività nei mari a sud dell’Elba. Gli spostamenti erano pericolosi essendo il mare infestato da mine. Altri pescatori, sempre di origine ponzese, ripresero la pesca e fra questi Giuseppe Romano, Alessandro e Gennaro Iodice, Domenico Vitiello, Stefano Mazzella, Michele Feola, Giuseppe Morlé, Agostino Sandolo. I mezzi più usati erano le nasse, i tramagli, le squadrare, le schiette e i palamiti, chiamati “coffe” dai ponzesi. In un momento difficile, con carenza di mezzi e di lavoro, altri pescatori, ripresero l’attività di pesca sottocosta con tramaglio, rezzaglio e sciabica. Fra questi c’erano Salvatore e Procolo Costantino, Mafaldo Spinetti, Giovanni Di Fraia, Luigi Nelli (Babbalù) , Osvaldo Cecchini, , Francesco Cassese, Enrico Danesi, Divo Spinetti, i quali occasionalmente navigavano anche nei mari di Montecristo e Pianosa. Frattanto Silverio Sandolo (Casciaforte -Cassaforte), ritornato dalla guerra nel Mediterraneo, iniziò a pescare con la motobarca Lucia assieme al padre Michele. Con Ciro Sandolo, chiamato Girotto, scoprì una “secca” molto pescosa presso Montecristo che fu chiamata, in suo onore, Secca di Casciaforte. Si racconta che in realtà, l’individuazione della secca da parte sua,  avvene anni prima quando imbarcato su un sommergibile, navigava nel mare a sud dell’Elba. A Montecristo continuò il caos. Con l’assegnazione dei nuovi guardiani nel 1956 la vita su Montecristo riprende. Arriva Millo Burelli seguito da  Amulio Galletti, Giovan Battista Muti, Paolo Del Lama e Goffredo Benelli. I pescatori si sentono più protetti pur con qualche vessazione.

Pesca innovativa

Dal 1947 l’attività di pesca cambiò con l’utilizzazione di tecniche innovative. Si diffusero tipi particolari di pescherecci con l’introduzione della pesca di notte e l’uso luci specifiche, sia elettriche che a gas. Prima si affermarono le “Lampare” e successivamente le Cianciole o Sacca leva chiamate anche “Zaccalene” dai ponzesi. Prevedevano l’impiego di reti di varia lunghezza, a maglie piccole, con  una particolare struttura,  che pescavano in superficie per circa 50 metri di profondità. Fra le prime Zaccalene  vi è la Grazia con capobarca Sandolo Silverio, la Francesca Maria con  capobarca Procolo Costantino, il Gioia  con capobarca  Giovanni di Fraia e l’Invidia con capobarca Vitale e marinaio Ciro di Frenna (Ciritiello) provenienti da Ischia. Questi pescherecci pescavano ovunque attorno all’Elba ma soprattutto a sud. Avevano bisogno di molti marinai (12-15 per barca) i quali praticamente cucinavano e vivevano a bordo.Per la paga ai marinai si usava il sistema “a la parte”.  I meglio pagati erano il capobarca, il motorista e i “luciaioli”. In inverno si andava a Ponza per assumere gli equipaggi. Altri pescatori di origine ponzese(2) vennero a lavorare sulle Zaccarene. Contemporaneamente vennero, sempre da Ponza, anche Andrea Mazzella  e Agostino Aprea per dedicarsi alla pesca più tradizionale. Quest’ultimo si fece costruire dal fratello Giuseppe (Mastuppeppe) due barche di stile ponzese, con “la rota” a prora e la “cascia” (cassa) nella pancia dello scafo, particolarmente  attrezzate per la pesca delle aragoste. Alle due barche, provviste di motore,  fu dato il nome di il San Gaetano e di Sant’ Agostino. Arrivò  pure Agostino Romano con il figlio Camillo. Tutti pescavano nel mare a sud dell’Elba. In quegli anni anche Emiliano Calisi detto “l’italiano” (u’taliano), esperto “corallaro” (pescatore di corallo), lavorava nel mare di Montecristo ed a sud di Pianosa. Il personaggio era molto caratteristico. Per il suo desiderio di parlare più spesso in lingua italiana che in dialetto, riempì di curiosità e talvolta di ilarità,  i pescatori con cui conversava, sia all’Elba che a Ponza. Dal 1950 al 1955 le Zaccalene cominciarono a pescare  sia a Sud  che nelle “secche” ad ovest dell’Elba . Le prime furono la Rosita (Zambombo) dei fratelli Silverio e Aniello Sandolo e di Aniello Vitiello, la Francesca Maria di Gino Dini e Vittorino Tesei prima e di Silverio Sandolo (Casciaforte) e Pompeo Mazzella dopo, il Sipam di Raffaele Murtas e Gaetano Vitiello, il Santa Rosa di Moisè Scotto di Santolo. Purtroppo il molto pesce appena pescato veniva cosparso sulla coperta del peschereccio per poi essere messo in cassette di legno, ma senza l’uso del chiaccio. Quindi dapprima i guadagni furono bassi. Solo successivamente, con l’introduzione delle “ghiacciaie, le cose andarono meglio.

Dal sud vennero altri …

La pesca tradizionale con le caratteristiche barche di tipo ponzese permetteva di prendere aragoste, dentici, murene e perfino gli zeri (“rutunni “ per i pescatori ponzesi) e le  castardelle.  Le Zaccalene, soprattutto quelle dotate di strumentazione, riuscivano a pescare grandi quantità di pesce di ogni tipo, con prevalenza di alici, sardine, lacerti, sugherelli, boghe, lecci e tonni. Nel mare di Montecristo pescavano  in  molti e venivano da ogni parte, non solo da Marina di Campo, ma anche da Marciana Marina e da Porto Azzurro.  Dal sud vennero altri pescatori, soprattutto siciliani, che pur facendo base a Marina di Campo, pescavano nel mare di Montecristo. I primi furono i fratelli Vito e Bastiano Ravenna con la motobarca Madonna di Pompei e poi  Francesco Mione con il figlio Vito, dediti principalmente alla pesca di pesce spada.

Negli anni attorno il 1963 arrivò a Marina di Campo Vermiglio Calogero  che richiamò ben presto, dalla Sicilia, la propria famiglia. Iniziò a pescare fra Montecristo e Pianosa usando tramagli e tramaglioni. Arrivò anche Nicola Troccolo, esperto pescatore pugliese. I pescatori navigavano sovente senza bussola magnetica, si orientavano guardando le stelle e osservando il vento, cercavano la zona di pesca  utilizzando “segnali” di riferimento a terra e misurando la profondità con “scandagli a mano”, pescavano esaminando le correnti marine, prevedevano il tempo studiando la luna e guardando le nuvole. I fratelli Silverio, Antonio e Giovanni Avellino, Claudio Feola, Benedetto di Meglio, Gaetano Avellino, Salvatore di Meglio, Massimo Mazzella, Dario e Antonio Misiano, Silverio Morlé, tutti di origine ponzese,  ancora impegnati nella pesca, parlano dei loro padri che pescavano a Montecristo. Anche altri come Di Maggio Giuseppe, i fratelli Bruno e Marco Greco, Ignazio Cottone e Ignazio Mione, raccontano del duro lavoro e del loro sereno rapporto con i guardiani. I  pescatori più anziani (4) ricordano ancora le soddisfazioni e i sacrifici del passato. Rammentano Umberto Misiano e Raffaele Sandolo, che dopo alcuni anni passati all’Elba, presero la via del’America, il primo verso New York e il secondo verso New Haven (Connecticut). E ancora, nella memoria, sono Stefano Vitiello (Pippone) con la sua pipa, Michele Sandolo (Don Biase) con le sue battute taglienti, i fratelli Giuseppe e Raffaele Calisi con i loro racconti coloriti, i fratelli Gaetano e Alessandro Iodice con la loro pacato senso dell’ironia, Raffaele Murtas con la sua filosofia pratica della vita. Seguirono poi Silverio e Orlando Romano, Agostino Romano, Salvatore e Gildo Mazzella, Girotto Sandolo, Vitiello Pompeo (Fracassa), Franco Feola, i fratelli Paoluccio e Michele Scotto di Santolo  e altri ancora. I pescatori spesso parlano delle avventure dei bastimenti aragostai  detti “Mbruchièlle” della grande flottiglia ponzese che si muovevano nelle acque delle isole di Sardegna e de la Galite (Tunisia) per trasportare le aragoste a Marsiglia. Ricordano ancora Giuseppe Sandolo, che comandava un bastimento del suocero Vincenzo, i suoi viaggi a Marina di Campo per prendere le aragoste pescate a Montecristo, la sua correttezza, il suo animo forte e gentile, la sua abilità nel navigare. Montecristo, per buona parte del secolo scorso, è stata l’isola dei pescatori e Elena di Montenegro era considerata la regina dei pescatori.  E quando i pescatori parlavano di lei dicevano  “La nostra regina”.

Fatti e avvenimenti

Parlando di Montecristo si raccontano sovente leggende, misteri, storielle e curiosità che sono nate soprattutto nell’ultimo secolo: il pinto di re, i gabbiani parlanti, le grotte dei coralli, il bove marino, la ventresca, le fère e la pesca delle castardelle, la Secca delle balene, la danza della foca monaca. I pescatori, sin dall’inizio della loro presenza a Montecristo, hanno spesso svolto servizi a favore dei cittadini e delle Istituzioni. Soprattutto quelli di origine ponzese, hanno collaborato nei servizi di sussistenza, nel trasporto di strumentazione, nel salvataggio di barche, velieri e navi. Non solo Stefano Sandolo ma anche altri pescatori furono frequentemente impegnati nel trasporto di derrate alimentari e macchinari su Montecristo,  sia nel periodo di guerra che in periodo di pace.Si ricorda ancora il trasporto del Gruppo Elettrogeno fatto con la motobarca Marinella II di Agostino Aprea. In presenza di Minelli,  Brigadiere della Corpo della Forestale, l’imbarco fu fatto a Marina di Campo con mille difficoltà, usando il paranco della motobarca. Fu approntato un apposito collegamento via radio fra la motobarca (codice: cedro-mare) e Montecristo (codice: cedro-terra). La navigazione avvenne senza alcun problema ma arrivati a Cala Maestra, sorsero altre difficoltà sia per lo sbarco che per il trasporto a terra, fatto con rulli di legno fino al Centro Radio della Villa Reale, dove operava il guardiano Amulio Galletti. Successivamente, dopo il 1973, fu installata a Montecristo, sempre con l’aiuto dei pescatori, una Radio potente per la diffusione del Bollettino del mare, utile a tutti i naviganti della zona. Fatti drammatici accaddero negli anni del dopoguerra.  Il guardiano Tesei Francesco, che si trovava Montecristo per inventariare i beni della Casa Reale, fu salvato, dopo giorni di isolamento, da Aniello Vitiello  che pescava con il figlio Giuseppe (Peppino) presso l’Africhella.  Attraversando a zig-zag un campo di mine, arrivarono sani e salvi nalla spiaggia di Cavoli, a sud dell’Elba. Il 12 marzo 1947 accadde poi un avvenimento che ancora  è ricordato. Quella mattina la nave statunitense Exanthia si trovava in navigazione presso Pianosa, diretta verso Livorno, con un carico di merce varia. La nave, tipo Freighter, la cui società armatrice era l’American Export Lines, di  138 metri di lunghezza e 19 metri di larghezza con 6.555 tonnellate di stazza lorda, navigava a velocità regolare di 16 nodi. Per un errore di navigazione, non lontana da Montecristo, urtava su una mina con gravi danni al locale macchine. Rimanevano uccisi il secondo macchinista assieme a due marinai. La nave veniva abbandonata subito dall’equipaggio che trasbordava su due lance di salvataggio. Si diressero  verso la costa sud dell’Elba. Correva voce che la nave fosse in balìa delle onde. Da Marina di Campo partirono subito alcune motobarche da pesca, fra cui il  Sant’ Emiliano con a bordo i fratelli Silverio e Aniello Sandolo e Aniello Vitiello. Partì anche il Gabbiano, barca da diporto tipo cutter di proprietà di Demetrio Tesei con a bordo i marinai Lisandro Paolini, Duilio Retali, Procolo e Rino Costantino. Le motobarche arrivarono presso la nave che ancora galleggiava e stava andando alla deriva. Dettero aiuto ai naufraghi e li portarono a Marina di Campo. Dopo qualche ora,  ripartirono verso la nave americana che stava dirigendosi verso Porto Azzurro, trainata da due rimorchiatori della ditta Neri, che avevano intercettato il messaggio di S.O.S.  Presero accordi per dare un aiuto nel rimorchio. Dopo la fermata all’Elba la nave si diresse verso Livorno e quindi verso Genova, per le necessarie riparazioni. Si ricordano i marinai americani stanchi, riposare sul molo grande di Marina di Campo, in attesa di essere rifocillati e curati. Giampaolo Mattera, Comandante di navi della Marina Mercantile ora in pensione, ma allora ragazzo, ricorda i marinai americani sul molo che cercavano di dare spiegazioni, parlando in inglese ( incomprensibile a quel tempo) e facendo gesti. Negli anni successivi altri avvenimenti accaddero a Montecristo, talvolta incomprensibili e misteriosi. Durante alcune  tempeste di mare affondarono dei bastimenti e delle barche da pesca sugli scogli di Montecristo. Giacciono ancora sui fondali attorno all’isola e vengono ogni tanto scoperti e visitati da operatori subacquei. Silverio Avellino sovente parla delle notti a Cala Corfù, assieme a Michele e Giuseppe Sandolo, padre e figlio, con la motobarca Mario prima e Cormorano dopo. Si era fra il 1970 e il 1980.

Nelle notti di Montecristo, branchi di pesce luccicanti sul del mare, facevano apparire le onde lunghe come un manto d’argento, illuminando sovente gli scogli e la montagna. Lo spettacolo era meraviglioso e i pescatori rimanevano estasiati. Poi al minimo rumore, tutto scompariva con il mare che “friggeva”. In quel tempo, anche Donato Calisi pescava, con la motobarca Alessandro (di stile tipicamente ponzese) nelle acque presso Montecristo. La pesca andava bene ma talvolta avvenivano dei fatti inquietanti.  Il mare, infestato di “canesche” e di pesci martello, sorta di pescecani, era sempre più pericoloso. Frequentemente le reti venivano distrutte e i danni erano ingenti. E quando la burrasca ammassava nuvole nere di sera su Montecristo, talvolta si era incerti se cercare la protezione dell’isola oppure se fuggire da essa. Ritornavano nella mente dei pescatori di origine ponzese i misteriosi “Munacielli” (Monachetti) di Ponza, folletti talvolta protettivi ma spesse volte irrequieti, che si diceva abitassero nelle grotte. E Montecristo era pieno di grotte naturali! E’ ancora ricordata la tragica morte di Giuseppe Calisi, zio di Donato. Durante la pesca nella zona fra Montecristo e Pianosa, l’ 11 aprile 1991, stressato dalla fatica ebbe un infarto mentre era sulla motobarca Rossana con il figlio Paolo. Col mare in burrasca la radio non funzionava e il figlio poco  poté fare per salvarlo. Esiste nella chiesa di Pianosa dedicata a San Gaudenzio, un’acquasantiera che ricorda il drammatico avvenimento. Negli ultimi anni, e precisamente nel settembre 2003, Benedetto di Meglio, con la motobarca Fulmini e Saette, fu colto da una tempesta improvvisa mentre pescava presso lo Scoglio d’Africa. Si avvicinò a Montecristo e si riparò a Cala Scirocco, senza poter avere dei contatti radio per aiuti. La radio non funzionava! A Marina di Campo, senza sue notizie, si vivevano ore drammatiche nell’incertezza.  Furono immediatamente fatte delle ricerche sia con le vedette della Penitenziaria che con i Guardiacoste della Capitaneria di Porto. Visti i risultati negativi si continuò con l’uso di un aereo che la società Locman, azienda campese, mise a disposizione. Pilotato da Alessandro Sirabella e accompagnato da Silveria Di Meglio, moglie di Benedetto, il Piper pa 34 – tipo Seneca, si alzò dall’aeroporto elbano di La Pila e si diresse verso Montecristo. La motobarca, che nel frattempo si era spostata,  fu avvistata verso mezzogiorno, sottovento a Cala Mandolina, e le apprensioni si calmarono. Qualche giorno dopo, finita la tempesta, il pescatore ritornò con i propri mezzi all’Elba.

L’Isola inavvicinabile

Negli ultimi decenni Montecristo, con le nuove disposizioni di protezione, è rimasta sempre più isolata e i pescatori non possono avvicinarsi alle coste se non per emergenze. Conoscono ogni cala , caletta e scoglio a cui hanno assegnato nomi particolari spesso in dialetto ponzese come Punta Cappiello (Punta Cappello), Cala Scuoglio (Cala Scoglio), Cala Giunchetiello (Cala Giunchetto),  Cala Gabbiana (Cala Gabbiano). Sono stati costretti ad abbandonare la loro isola che per tanti anni ha dato sicurezza alle proprie barche e benessere alle famiglie.

A Montecristo i tramonti di settembre sono spesso di colore rosso purpureo e nelle notti d’estate il mare è sempre più incantevole. Quando arrivano i temporali di fine stagione le barche in navigazione hanno difficoltà a trovare un rifugio. Ritornano nella mente dei pescatori i drammi vissuti sul mare. Poi, all’apparire del primo raggio di sole fra le nuvole, tutto passa  per riprendere con forza la grande  avventura della vita.

All’Elba è ancora vivo lo spirito dei primi pescatori di Montecristo, soprattutto dei Sandolo e dei Vitiello, che ha permesso di aprire nuovi orizzonti  di benessere socio-economico ai nuovi arrivati da Ponza. Per tutto il secolo scorso, i pescatori hanno saputo scrivere sulle scogliere granitiche di Montecristo pagine di sogni e sacrifici  con la speranza nel cuore e profonde aspirazioni per un avvenire migliore. Ogni cala, caletta, scoglio e grotta parla di dura  realtà, leggende, misteri e curiosità. L’isola di Montecristo guarda ancora da lontano, imponente, le vicissitudini della vita e silenziosamente vive la sua solitudine. E i pescatori, che nei pomeriggi si incontrano all’Associazione Pensionati Campesi, dopo aver giocato a briscola o a “la maniglia” e fatta qualche breve discussione, si immergono nel passato, con tanta amarezza nel cuore, rivivendo talvolta  momenti di felicità.

(1) Piero Antinori (proprietari delle famose Cantine), Renato Fucini (scrittore toscano), Giacomo Puccini (compositore di opere musicali), Tito Conti (pittore fiorentino).

(2) Iodice, Aprea, Vitiello, Calisi, Mazzella, Morlé, Di Meglio, Balzano, Cristo, Romano, Avellino, Pagano, Rivieccio.

(3) G. Battista Galli (lug.-ott.1944), Ernesto Somigli (ott.-nov.1944), Fabio Angiolo Mibelli (nov.1944–lug.1951),  Giuseppe Tacchella(lug.1951-lug.1952), Fabio Angiolo Mibelli (lug.1952-lug.1956).

(4) Ciro di Frenna (Ciritiello), Donato, Silverio e Angelo Feola,  Bruno e Elbano Sandolo, Pompeo Mazzella, Giuseppe Avellino, Giuseppe Vitiello (Peppe Insomma),  Gaetano (Sacchetta) e Silverio (Miccetta) Vitiello, Ciro Scotto di Santolo, Giuseppe Scotti, Carmine e Gennaro Pagano (La Volpe),  Leopoldo e Michele Di Meglio, Gennaro(u Conte) e Antonio Di Meglio(CGIL), Cesare e Giulio Romano, Antonio Feola (Musolino), Umberto Mazzella (Umbertino), Cammillo Romano, Ugo Iodice (zio Ugo), Mario Vitiello (u pastore), Silverio e Giuseppe Morlé, Bruno e Antonio Rivieccio, Achille Cristo, Giovanni Feola, Gennaro Vitiello, Francesco Vitiello (Francesco ‘i Sacco), Battista Balzano, Carmine Aprea, Domenico de Martino (Menicuccio),  Guido De Martino( Guido ‘a perchia), Gaetano Iodice.

Raffaele Sandolo

Associazione Amici di Montecristo

(www.amicidimontecristo.com)

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