di Rita Bosso
Siamo in presenza di una vita difficile, spesso precaria, il cui equilibrio si compie regolarmente a danno dell’uomo, condannandolo senza remissione alla sobrietà…
(F. Braudel – Mediterraneo)
Parole sante; non è che le ho capite tutte però quel poco che ho capito è la verità. Se sapessi leggere, questo libro lo leggerei dalla prima all’ultima pagina. Ci sta tutto, in queste due righe: la fame e la fatica che abbiamo sopportato, prima di tutto.
La fame è stata nera, molto più nera di quella che i nostri antenati hanno patito nel secolo passato; dice che il Settecento va per nominata per il progresso, le scoperte, la cultura; per me, che sono nata proprio nell’anno millesettecento, una cosa si dovrebbe dire, prima di tutto il resto: che la maggior parte della gente si è puzzata di fame, molto di più dei loro padri e dei loro nonni. E’ che in poco tempo c’è stato un aumento straordinario della popolazione, quasi un raddoppio in Europa, da centoventicinque milioni a duecento milioni in neanche cento anni. No, non è che ci eravamo messi a fare figli, si sa che si fanno più figli quando c’è più da mangiare, pure le bestie lo sanno. E’ che si moriva di meno: finite le grandi epidemie di peste, perché si era capito come contrastarla, con la quarantena per esempio; migliorati i trasporti, così pure le carestie facevano meno danni; un poco migliorate le condizioni di vita, per esempio si cominciavano a vedere case in mattoni e in pietre anziché baracche in legno, il che fa una bella differenza se stai in mezzo alla neve per parecchi mesi all’anno. Da noi no, si continuava a vivere dentro le grotte, ben isolate, calde d’inverno e fresche d’estate, ma da noi il clima è buono, che c’entra… La neve la vediamo sì e no tre o quattro giorni all’anno. Insomma si campava di più, per questo la popolazione era quasi raddoppiata; non è che ci davamo sotto a fare figli, non è che erano aumentate le culle, è che erano diminuite le casse da morto. Scusate tanto se non crepavamo quando ancora eravamo in fasce, se ci permettevamo di arrivare fino a quaranta, cinquant’anni. Scusate tanto. Pare che era colpa nostra, quella fame nera, perché non toglievamo il disturbo per tempo. Comunque è vero, parlano i numeri: le bocche da sfamare erano aumentate, quasi raddoppiate. E tu che fai, quando a tavola si siedono in dieci anziché in cinque? Cali il doppio della pasta se puoi, oppure fai una minestra più sciacquetta. Ecco, diciamo che la nostra minestra era parecchio più sciacquetta rispetto a quella dei padri e dei nonni.
Parlano i numeri, certo. Il prezzo della carne era salito al punto tale che la vedevi sì e no nelle feste comandate.
Insomma, non solo mangiavamo meno che in passato, ma mangiavamo peggio: niente carne, o burro, o olio, niente verdure e frutta ma grano, patate, miglio, castagne. Vabbè, ritorniamo al punto: le bocche da sfamare sono raddoppiate e, vuoi o non vuoi, a tavola devi mettere il doppio della roba, magari più scadente. Senonchè il modo di coltivare la terra non è cambiato e, di conseguenza, non è aumentata la resa; continui, per dire, a seminare dieci per raccogliere cinquanta, non è che semini dieci per raccogliere cento, come pare che hanno imparato a fare in Inghilterra.
Dice …e allora? Se la resa è sempre la stessa ma tu hai bisogno di cento, vuol dire che seminerai venti. Grazie assai, ma hai idea di che significa seminare venti anziché dieci? Significa che devi avere il doppio della terra, e dunque devi bonificare dove è possibile, disboscare se c’è un bosco a portata di mano; non è che la terra sta pronta per essere seminata e aspetta te.
Prendi noi, quando siamo sbarcati qua con la speranza di avere il nostro pezzo di terra, finalmente padroni e non più schiavi che si sfiancano e restano con le pampuglie in mano; noi abbiamo trovato la terra, secondo te? Montagna abbiamo trovato, roccia, da spianare centimetro dopo centimetro, e poi da ricoprire di terra; tutto questo fatto con la fatica delle nostre braccia, perché non è che ci stavano le macchine all’epoca, e neanche bestie. Le bestie eravamo noi, che abbiamo dovuto tagliare la roccia centimetro dopo centimetro, spianarla, e poi ricoprirla di terra trasportata a cofanelle a cofanelle, e solo dopo aver fatto questo, abbiamo potuto cominciare a seminare.
Ecco, questo so io dei miei tempi: che ci siamo dovuti fare un tarallo sempre più grosso, non per stare meglio, ma per evitare di stare peggio.