di Tea Ranno
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Tea continua a raccontare le sue storie di donne – quelle che conosce meglio… della sua terra, che parlano la stessa sua lingua – ma non è troppo difficile riportarle a categorie più universali…
Ha cominciato – su Ponzaracconta, nel maggio 2014 (…molto prima nei suoi romanzi e racconti) – con i personaggi da Horcynus Orca, Ciccina Circè (leggi qui e qui) e Marosa (leggi qui e qui), ricordate?
L’abbiamo seguita in questi anni attraverso le sue tante voci… Eccola di nuovo a parlarci di una donna, Cetti Curfino, da un romanzo di Massimo Maugeri.
S. R.
Io le conosco le femmine di ferro e di fuoco. Le conosco perché le ho praticate e continuo a praticarle. Sono donne, ragazze, talvolta bambine che, messe davanti a un ramo torto della vita, lo mozzicano fino a raddrizzarlo, a sgombrarsi la strada per andare – dritto o storto – dove vogliono loro. Sono femmine ardenti. Femmine che parono di ghiaccio e dentro, invece, covano fuoco, sono forti pure quando si mostrano deboli, ardite pure quando si costringono alla docilità perché, in certe circostanze, docilità può significare mozzico più incisivo a quel ramo che impedisce il passo, e determinazione a vincerlo per estenuazione, come fa la stizzània che – goccia dopo goccia – perfora la pura roccia.
Prendete Cetti Curfino, per esempio, uscita magistralmente dalla penna di Massimo Maugeri e da lui magnificata per contrasto con Andrea, il giornalista un po’ goffo dal cui punto di vista è narrato il romanzo. È femmina che di attributi ne possiede troppi (cosa difficile da perdonare): è assai bella, assai intelligente, assai forte (di quella forza mascherata di docilità), caparbiamente legata a un ideale di giustizia il più delle volte tradito da chi le sta intorno. È giusto che tuo marito lavori in nero? È giusto che lavori senza nessuna protezione per cui, cadendo da un’impalcatura, si rompa l’osso del capocollo e muoia? È giusto che il politico a cui ha portato camionate di voti ti volti le spalle e si sottragga a ogni promessa?
Niente è giusto. Ma, soprattutto, niente è facile. Così ti ritrovi spinta verso quel margine della vita fatto di necessità e bisogno. Soldi ci vogliono: per mangiare, per pagare l’affitto, per crescere un figlio, per comprare un paio di scarpe, un libro o un quaderno. E i soldi sono sempre troppo pochi. E pure per raggranellare quei pochi devi scendere a compromessi, Cetti: troppo bella sei, troppo pitittose le gran minne che hai, troppo belli quegli occhi e belli i capelli e il corpo… Persino Andrea s’è innamorato di te e ti porta dentro i suoi sogni. È venuto a trovarti in carcere perché vuole raccontare la tua storia, vuole scrivere un libro che dimostri la tua innocenza: “(…) credo nella sua innocenza” ti ha detto. “Voglio dire… so bene che ha commesso un reato. Lei stessa ha confessato. Ma so anche che lei è vittima di una serie di circostanze sfavorevoli. E vergognose. E questo suo essere vittima (…) in qualche modo la rende innocente”. Ha continuato con più fervore: “Credo che la sua sia una storia che merita di essere raccontata. Non solo per lei, ma anche per altra gente che potrebbe essere nella sua situazione. Per tutti coloro che pagano i conti di soprusi che non trovano e non troveranno mai spazio tra le pieghe della giustizia ufficiale”. Un libro di denuncia, insomma.
Ma un libro di denuncia, quanto può essere pericoloso? Quanto può dare fastidio a chi si fa largo a spallate e coltellate dentro la vita per non essere sopraffatto? Quanto possono essere dure le conseguenze della verità?
Ah, Cetti! Buttana è la vita, che t’azzicca i denti nella carne e ti porta a compiere azioni che mai avresti commesso. Buttana è quando ti mette tuo figlio contro, l’unico per cui vale la pena di continuare a campare, quello che ti ha scancellato dalla vita sua perché una madre buttana è troppo scomoda da praticare. E allora sparisce, non viene a trovarti, non ti chiama, non ti scrive e quando finalmente si presenta è solo per impedirti l’offesa: Che minchia vuoi fare, Cetti Curfino, raccontare la buttanìa? Il modo in cui ti facisti fortere? Niente libro, guai a te! Zitta e muta, e al posto tuo.
Buttana è la vita, Cetti, e buttana pure la morte che ti viene ad allisciare, a spingere verso di te la sua ombra rapinosa.
Buttana la vita e buttana la morte. E allora? Che fai, Cetti? Che fa una femmina di ferro e di fuoco quando la vita si mette storta e la morte più storta ancora e – stortezza sopra stortezza – insieme ti vogliono fortere?
Che fai?
Ma ridi, no?
E ridendo ti riappropri di te: ti fai madre tua e figlia tua e sorella tua e signora e padrona di te, della tua libertà, della tua verità che in fondo in fondo è la verità di tutti quelli che non trovano e non troveranno mai spazio tra le pieghe della giustizia ufficiale.
E tutto, così, acquista senso.
Cetti Curfino, Massimo Maugeri, 2018; La nave di Teseo
Rinaldo Fiore
5 Ottobre 2018 at 20:39
I racconti di Tea Ranno trasudano di vita, di quel sudore che scorre quando si fatica a raccogliere arance e limoni, o ciliegie o quando si mettono i blocchetti di cemento l’uno sull’altro e non si sente la fatica, ma solo il piacere di avercela fatta e quel sudore sottile che si mischia sulla pelle degli amanti a segnare la vita che inizia, ogni giorno.
Dall’alto del limite del parco di Ravello si intravede, con lo sguardo sottile per il sole accecante, l’orizzonte che non ci appartiene, è della terra, del cielo o dell’Universo ma la sua curva mi incuriosisce e la seguo fino ad una nuvola più scura di terra a piombo nel mare: sembra di sognare e di volare ma il profumo dei colori della terra e degli alberi richiamano alla realtà ed è ora di ripartire con il pullman curvo per gli stretti anfratti d’asfalto che scendono al piano della mia infanzia…