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Ieri sono stato alla conferenza che il prof. Adriano Madonna ha tenuto a Gaeta presso l’Aula della Memoria dell’Istituto Nautico. L’argomento era il Mediterraneo ieri, oggi e domani e devo dire che le attese non hanno tradito le aspettative.
Ho partecipato ad altri incontri del prof. Madonna sui cambiamenti climatici del mediterraneo e, come per il passato, anche questa volta ne sono uscito arricchito. Ascoltarlo è sempre un piacere per l’interesse che suscita e per la semplicità con cui riesce a trattare anche gli argomenti complessi della biologia marina.
Ne sono, d’altro canto, una comprova la partecipazione ed i consensi riscontrati in occasione degli eventi che con lui abbiamo organizzato a Ponza.
Il prof. Madonna da anni studia, avvalendosi del supporto del Laboratorio di Endocrinologia Comparata presso il Dipartimento di Biologia dell’Università Federico II di Napoli, i mutamenti che stanno subendo la flora e la fauna del mare nostrum per effetto dei cambiamenti climatici.
Da tempo sostiene la necessità di creare sulla fascia costiera del nostro territorio ed anche a Ponza delle stazioni di osservazione e di raccolta dati vista la presenza sempre più frequente nel nostro mare di specie non autoctone.
L’esigenza è ancora più pressante se poi tra quelle presenze si rinvengono specie pericolose, al punto da essere letali, come il pesce palla o la cubomedusa.
Il Mediterraneo sta quindi cambiando, la sua temperatura si sta modificando e di conseguenza la sua salinità.
Tende a diventare – ci ha detto il prof. Madonna – il mare di una volta, cioè il mare tropicale qual era, con tanto di scogliere coralline e pesci colorati.
Per capire i cambiamenti bisogna risalire alle origini, facendo un salto nella storia fino a 230milioni di anni fa quando la terra emersa era compattata in un unico blocco, denominato Pangea (dal greco tutta terra) avvolto da un unico grande oceano chiamato Panthalassa (dal greco tutto mare)
Con la frammentazione di questi due grandi blocchi ed il movimento delle parti che ne scaturirono venne a formarsi un grande golfo, il golfo della Tetide che aveva degli sbocchi attorno a sé: uno era sull’Oceano Atlantico, diventato poi quello che noi conosciamo come stretto di Gibilterra; un altro verso l’Oceano Indiano dove oggi c’è la Siria ed uno verso nord dove si formò una sorta di lago, l’attuale Mar Nero, con acque salmastre.
In seguito ai successivi movimenti tettonici ed aggiustamenti il mare ha cominciato a prendere una connotazione simile all’attuale; lo sbocco verso la Siria si è chiuso ed è rimasto solo quello di Gibilterra il cui passaggio consentì al Mediterraneo di assumere flora e fauna da tutto l’Oceano.
Ne deriva un’importante deduzione: quella che in effetti il Mediterraneo non ha mai avuto una fauna autoctona. La sua fauna è una fauna di importazione che si è adattata alla temperatura e alla salinità del nuovo mare subendo una naturale selezione perché alcune specie morirono ed altre si adattarono.
E qui il prof. Madonna ha sottolineato l’importanza dell’adattamento come cardine su cui si basa l’evoluzione della vita. Senza capacità di adattamento la vita si estinguerebbe.
La trattazione è continuata nel ricordare le altre vicende subite dal Mediterraneo come la trasformazione in un lago salatissimo avvenuta circa 6 milioni di anni fa a seguito della chiusura dello stretto di Gibilterra sempre per effetto della deriva dei continenti e la trasformazione in un mare senza vita in seguito alle glaciazioni di 10/12 mila anni fa.
Questo il Mediterraneo di ieri.
Il Mediterraneo di oggi fa registrare un altro fenomeno, quello della presenza di flora e fauna di altri mari a causa dell’effetto serra che provoca il surriscaldamento delle acque.
Ha ricordato il prof. Madonna che negli ultimi 30 anni la temperatura del Mediterraneo è aumentata di un grado ed un grado per il mare è tantissimo. Inoltre per effetto dell’evaporazione, conseguenza dell’aumento della temperatura, tende ad avere anche un maggiore tasso di salinità.
C’è da considerare inoltre che questo mare è costantemente in debito di acqua in quanto l’assume dall’Oceano Atlantico attraverso lo stretto di Gibilterra, e ciò è una fortuna poiché, essendo il Mediterraneo un mare oligotròfico cioè carente di sostanze nutritive disciolte, con il passaggio delle acque dallo stretto si forma una corrente costante che, lambendo tutto il bacino, deposita lungo il suo percorso sostanze organiche di cui si possono alimentare le specie viventi.
Ma da quella porta passa di tutto, anche le specie che di norma vivono nell’Atlantico e che per le mutate condizioni del Mediterraneo si adattano a vivere in questo mare. E’ il caso, per esempio, della caravella portoghese una temutissima medusa urticante.
L’altra porta di accesso è il canale di Suez che consente il passaggio a molte specie viventi nell’Oceano Indiano come il pesce palla, il pesce pietra o il pesce scorpione.
L’accessibilità attraverso il canale di Suez è aumentata da quando è stata costruita nel 1970 la seconda diga di Assuan che ha limitato la portata di acqua dolce da parte del Nilo, un deterrente per l’ingresso delle specie aliene alla ricerca, come noto, di acque salate.
Il prof. Madonna, ricorrendo alla proiezione di immagini ne ha passato in rassegna tante, di specie aliene, e quando si è trattato di specie pericolose, come le cubomeduse dai tentacoli talmente urticanti da provocare lo shock anafilattico, si è soffermato sull’habitat in cui vivono e sulle loro abitudini.
Le strade di accesso di queste specie alloctone non sono solo lo stretto di Gibilterra e il canale di Suez ma anche le navi che transitano per gli Oceani e vengono nel Mediterraneo. Capita che portino larve e specie aliene nelle acque di sentina o aggrappate alla carena.
Ciò è sempre avvenuto ma la circostanza che tali specie risultino sempre più presenti significa che si sono adattate alle condizioni climatiche che hanno trovato in quanto molto simili a quelle dei mari di provenienza ed il rischio è che possano scalciare alcune specie autoctone.
E qui il prof. Madonna ha parlato del “Principio di Gause”, o di esclusione competitiva in base al quale due specie delle medesime esigenze ecologiche non possono convivere, cioè non possono condividere la stessa nicchia ecologica e la più forte può averla vinta su quella meno forte.
In base a questo principio può accadere ad esempio che una colonia di barracuda, specie proveniente dall’Atlantico e stabilitasi molto bene nel Mediterraneo, si sovrapponga ad una di dentici entrandovi in competizione per la conquista del territorio e delle risorse che vi sono.
La competizione provoca stress con ripercussioni sulle capacità riproduttive e sul sistema immunitario e possibile scomparsa della specie soccombente.
Ritornando alle specie aliene presenti nel Mediterraneo e alla loro capacità di adattamento il prof. Madonna ha ricordato, rifacendosi anche agli studi di Darwin, che capacità di adattarsi vuol dire sopravvivere e che l’adattamento non dipende dall’essere più forti o più intelligenti ma dall’essere dotati della capacità di elaborare processi fisiologici, metabolici e comportamentali tali da consentire alla specie di adattarsi alle condizioni dell’ambiente in cui vive. E tali caratteristiche le rileva lo studio del DNA.
Questo sta avvenendo nel nostro Mediterraneo e cosa ci aspetta il futuro non è dato di sapere.
L’importante è essere informati, preparati al cambiamento e attenti sul rinvenimento di specie strane in cui possiamo imbatterci nel bagnarci nelle acque delle coste che frequentiamo o in quelle della nostra isola.
Se, poi, ci intratteniamo a parlarne con i pescatori sicuramente non sbagliamo.
L’aula che ci ha ospitati era gremita di gente interessata e soprattutto di tanti studenti ai quali il professore Madonna, nel salutarli, ha detto: “Vi consegniamo il mondo, abbiamo fatto quello che abbiamo potuto, rendetelo migliore”
vincenzo
22 Ottobre 2015 at 13:06
Caro Enzo non capisco: cosa significa che il mediterraneo non ha avuto mai specie autoctone?
Se volendo esagerare pensiamo che c’è un’origine comune di tutte le specie viventi e che queste si sono differenziate per adattamento in ambienti diversi allora è chiaro da nessuna parte ci sono specie autoctone. Ma poi ammiriamo tra un isoletta e una altra anche a distanza di pochi chilometri la comparsa di nuove specie e in questo caso parliamo di specie autoctone. Possibile che nel mar mediterraneo in 200 milioni di anni non si siano formate nuove specie di viventi.
Un altro aspetto interessante è quello che noi addebitiamo il riscaldamento costante delle acque all’effetto serra, con conseguente scioglimento dei ghiacciai, aumento del livello del mare, sommersione di molte isole e terre per arrivare a un nuovo stravolgimento della flora e fauna marina. Ma anche il prof. lo ha ricordato, che la tropicalizzazione del mediterraneo è avvenuta anche quando dell’uomo sulla terra non c’era traccia, ma anche la chiusura della diga rappresentata dallo stretto di Gibilterra che ha causato l’evaporazione del mar Mediterraneo sono fenomeni che non hanno visto protagonisti gli uomini eppure sono avvenuti. La vita sulla terra è andata avanti ed è arrivata ad essere quella che abbiamo sotto gli occhi. La domanda è questa: a che serve dire ai giovani: “Vi consegniamo il mondo, abbiamo fatto quello che abbiamo potuto, rendetelo migliore”?
A questo punto sarebbe interessante capire se quello che abbiamo fatto compreso l’effetto serra, che è la conseguenza di tutto il sistema di produzione industriale era evitabile, se potevamo fare diversamente per consegnare un mondo con meno guai ai giovani?
Enzo Di Fazio
22 Ottobre 2015 at 16:49
Caro Vincenzo,
il professore Madonna ha parlato di fauna di importazione nel senso che originariamente il Mediterraneo non aveva acque sue e quindi non aveva né una fauna né una flora propria e tutte le specie che vi hanno cominciato a vivere sono arrivate dall’Oceano Atlantico tramite lo stretto di Gibilterra.
E’ probabile che successivamente, nei milioni di anni che sono trascorsi, siano nate delle specie autoctone ma questo potrà meglio dirlo il prof. Madonna cui giro la domanda.
Per quanto riguarda l’effetto serra è risaputo che c’è una responsabilità che deriva dai comportamenti dell’uomo e che se rispettassimo di più l’ambiente avremo certamente un mondo migliore da consegnare ai giovani. La frase detta dal professore va letta nel contesto della conferenza e riferita al mondo nel suo complesso che se da una parte, come pure tu osservi, si evolve e cambia indipendentemente dal comportamento degli uomini, dall’altra è un mondo di guerre, di ingiustizie e di abusi di cui è l’uomo responsabile. In questo senso è sicuramente compito dei giovani, che sono la speranza del futuro, renderlo migliore.
Adriano Madonna
22 Ottobre 2015 at 20:57
Ho letto l’articolo di Enzo Di Fazio, il commento di Vincenzo Ambrosino e la risposta a quest’ultimo ancora da parte di Enzo Di Fazio. Innanzitutto, mi compiaccio che attorno ad un argomento importante come la tropicalizzazione del Mediterraneo sia sorta una bella chiacchierata, ma scrivo per spiegarmi meglio su alcuni punti. Innanzitutto, l’asserzione “Il Mediterraneo non ha mai avuto una vera fauna autoctona” va intesa con una sua essenziale versatilità: il nostro mare, infatti, all’epoca del Golfo della Tetide ha ricevuto vita in particolare dall’Atlantico con le specie dell’emisfero australe e con quelle dell’emisfero boreale. Queste specie hanno vissuto in uno stesso ambiente e si sono adattate. Ciò significa che il Mediterraneo non ha mai avuto un tipo di fauna prettamente sua, bensì di derivazione, quindi, ecco il termine “di importazione”. Del resto, se facessimo un’indagine biomolecolare sulle specie antartiche, tanto per fare un esempio, troveremmo dei caratteri ben determinati e in un certo senso unici. I tratti di DNA delle specie mediterranee, invece, possono denunciare una linea filetica in cui si distinguono capostipiti di altri mari.
In quanto alla frase “consegnamo ai giovani questo mondo perché lo rendano migliore”, credo che Enzo Di Fazio abbia interpretato perfettamente ciò che ho inteso dire: non mi riferivo, infatti, solo a questioni ambientali, bensì ad un contesto di guerre, delinquenza in crescita, disonestà a tutti livelli etc.
Colgo comunque l’occasione per ringraziare Vincenzo Ambrosino per l’interessamento che ha prestato all’articolo di Enzo Di Fazio (peraltro scritto davvero bene) e, quindi, alla mia conferenza del 20 ottobre scorso.
Saluti a tutti
Adriano Madonna