Ambiente e Natura

L’affondamento del Teseo (1)

di Alessandro Vitiello (Sandro)

Costantino militare

 .

Questo mio scritto è stato elaborato nell’estate del 2008, dopo una serata in cui mio padre (nella foto qui sopra, da militare) ci raccontò del naufragio della nave militare Teseo.
Non era la prima volta che ci raccontava quei fatti, ma quella volta avevo gli strumenti per condividerla: da qualche anno avevo aperto un blog dove scrivevo di fatti ponzesi.
Adesso scrivo un po’ meno su “La casa dei Sacco di Ponza” ma ora c’è Ponza racconta.

Ho messo per iscritto i ricordi molto chiari di mio padre e, tranne qualche dubbio sui nomi delle navi che hanno partecipato al salvataggio o di qualche protagonista di quelle vicende, il discorso filava senza incertezze e il suo racconto è sostanzialmente veritiero.

Lo riproponiamo così come l’ho scritto allora, aggiungendo le foto della tragedia che un amico, dopo aver letto il mio scritto, mi aveva inviato.
Aggiungeremo anche i commenti del Lettori che hanno arricchito questa storia.

Nel frattempo sono riuscito ad avere copia di tutti gli atti del processo che ci fu a seguito dell’affondamento del Teseo.
Dalle carte emerge che alcuni passaggi della vicenda non erano chiari a mio padre, perché non ne era venuto a conoscenza.
Faremo una sintesi delle conclusioni del processo e la pubblicheremo come aggiunta allo scritto; inoltre troveremo il modo di mettere a disposizione di quanti abbiano interesse ad approfondire, gli atti del processo e i documenti allegati.

Buona lettura
Sandro Vitiello

 

 

Il Teseo
Era il più grande rimorchiatore della Regia Marineria Sabauda.

Lungo 70 metri, aveva una propulsione a vapore che gli permetteva di raggiungere oltre le dieci miglia di velocità in navigazione.
Un valore importante per l’epoca.

Parliamo degli anni ’30. Veniva utilizzato abitualmente per portare soccorso ai mezzi navali in difficoltà nei nostri mari.
Le dimensioni e la forza dei suoi motori erano una sicurezza per quanti avevano bisogno e chiedevano il suo soccorso.

Ai primi di dicembre del 1931 mio padre faceva il militare in Sardegna alla Maddalena. Dal 13 dicembre avrebbe goduto della sospirata licenza natalizia.
Nei giorni precedenti era arrivato sull’isola questo rimorchiatore che aveva portato lì a rimorchio la “Fata bruna”, una piattaforma galleggiante armata di cannoni ma senza motori che la potessero far viaggiare autonomamente.

Mio padre ed altri suoi 70 colleghi militari chiesero di anticipare la partenza così da sfruttare il ritorno a Civitavecchia del Teseo come mezzo di trasporto.
Prima della partenza, organizzata in fretta e furia, non ci fu neanche il tempo per mangiare ma alcuni dissero che sul rimorchiatore in cambio di una lira, la sera, sarebbe stata servita una buona cena. Si avviarono verso l’imbarco preceduti da un carretto che portava i viveri che sarebbero stati usati per la cena.

Su un sasso il carretto cigolò e una bottiglia d’olio cadde a terra, rompendosi.
Un gruppo di marinai napoletani lessero questo fatto come un brutto presagio e si misero a gridare: “l’uoglie è ‘mbruoglie, l’uoglie è ‘mbruoglie…”

Arrivati al rimorchiatore stavano per salirvi sopra ma videro un gatto nero, la mascotte della nave, lanciarsi verso terra, miagolando in modo strano.
Venne ripreso da un marinaio del rimorchiatore e riportato a bordo ma dopo un istante il gatto era di nuovo a terra.
Anche questo fatto venne interpretato come un cattivo presagio.

Sul rimorchiatore c’era stabilmente un equipaggio di 70 persone tra marinai e ufficiali.
Partirono dalla Maddalena la sera dell’11 dicembre del 31.
Il tempo era tranquillo con un mare calmo come l’olio.

Dopo un’ora di navigazione con la Sardegna alle spalle, un forte vento di Tramontana rese il viaggio sempre più agitato, con le onde che arrivarono a forza otto-nove.
Il rimorchiatore viaggiò comunque senza particolari problemi fino alle quattro del mattino successivo. C’erano sicuramente motivi di preoccupazione per una tempesta di quelle toste ma, come si diceva, la nave era il simbolo della sicurezza per quei tempi.

Ad un certo punto su un’onda più forte delle precedenti mio padre ebbe chiara la sensazione che qualcosa di irreparabile era successo alla nave.
Chiese notizie ad un sottocapo che aveva terminato il turno di guardia e questo per rassicurarlo gli disse: “abbiamo preso un garzillo”.
– “Alla faccia del garzillo” – fu la risposta.

La paura di qualcosa di grave purtroppo ebbe dopo poco una brutta conferma; la chiglia della nave si era spezzata condannandola ad un naufragio certo.
Questo è l’incidente più grave che può capitare ad una nave perché, oltre alla falla che si apre facendo entrare acqua, vengono meno anche la linea d’asse delle eliche e la struttura portante dei motori.

Il Teseo si ferma in mezzo al mare in tempesta. Prima che tutto si blocchi si fa in tempo a mandare una richiesta di soccorso.
Dopo pochi istanti anche la radio di bordo tace.
Non si riesce a sapere se il messaggio è stato captato da qualcuno.
Il comandante, anche per infondere ottimismo, dice che sicuramente il messaggio ha raggiunto qualche nave o la stazione sulla costa.

Incomincia un lento calvario che va avanti per tutto il giorno con la nave alla deriva nella tempesta. Nel tardo pomeriggio il comandante chiama a raccolta tutti i suoi marinai e anche i passeggeri.
Garantisce che prima di sera una nave verrà a portare soccorso.

La nave è in pessimo stato. E’ opinione comune che prima dell’alba andrà a fondo.
Inutile aggiungere che erano più di ventiquattro ore che non si beveva neanche un sorso d’acqua, tanto meno mangiare.

Dopo circa mezz’ora compare all’orizzonte una nave da carico che era lì per caso.
Prima che faccia buio è a qualche centinaio di metri ma questa capisce solo dopo diversi segnali che il Teseo è alla deriva.
Prova ad avvicinarsi ma mai abbastanza per garantire un collegamento tra le due navi.

Alcuni marinai più coraggiosi, tra cui mio padre, si buttano tra le onde cercando di raggiungere a nuoto la nave.
Parecchi vengono sopraffatti dalla tempesta e scompaiono in mare. Uno solo riesce a raggiungere la nave mentre altri, come mio padre, riescono di nuovo a risalire sul Teseo.

Quasi all’imbrunire arriva la “Acaralissa” (?), una nave passeggeri in servizio tra Civitavecchia ed Olbia. Questa nave era arrivata perché avvisata della richiesta di soccorso del Teseo.

Arriva il buio e la nave passeggeri non può fare altro che rimanere in zona senza sapere neanche se il Teseo stesse affondando perchè questi era completamente al buio.
Nella notte arriva anche da La Spezia la nave militare “Trieste”.

La Acaralissa comunica al Trieste che fino a sera il Teseo era a galla.
Sul rimorchiatore la speranza di una nuova nave arrivata in soccorso viene frustrata dal fatto che col buio non si può fare niente.

Il Trieste intanto accende i suoi proiettori e tra le onde individua il Teseo sempre più in difficoltà.

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[L’affondamento del Teseo. (1). Continua]

1 Comment

1 Comments

  1. francesco ferraiuolo

    19 Ottobre 2013 at 21:09

    Queste storie dei nostri intrepidi marinai di una volta mi affascinano sempre, anche se in questo caso si tratta di una grande tragedia.
    Ho notizia di una nave denominata “Caralis”, di stazza lorda di circa 3500 tonnellate, che fu costruita nel 1928.
    La predetta nave, la cui denominazione corrisponde all’antico nome latino di Cagliari, sarebbe stata impiegata sulle rotte per la Sardegna, in particolare per Olbia.
    Verosimilmente, potrebbe essere la “Acaralissa” indicata dal compianto Costantino, il padre di Sandro.

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