di Salvatore Di Monaco
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Salvatore Di Monaco, recente collaboratore del nostro sito – “classe 1929” come lui stesso dichiara nel suo primo articolo pubblicato su Ponza racconta qualche mese fa – ci invia ora questo pezzo in cui racconta dei ricordi legati all’arte della battitura del grano e dei legumi, pratica del mondo contadino di una volta, in uso anche a Ponza fino agli anni ’60.
Le operazioni avvenivano in genere sulle aie (l’asteche o ‘a curteglia) di cui quasi tutte le case erano dotate. L’attrezzo che si usava e che Salvatore descrive molto bene chiamandolo “scogna”* era conosciuto anche come “muille” o “’scugnille”.
Su questo sito ne ha parlato anche Enzo Di Fazio nell’ambito del suo articolo “Quando gli Scotti ci appartenevano” (leggi qui)
La Redazione
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La “scogna” e lo “scognare”.
Sono due termini che ormai a Ponza sono raccolti solamente nella memoria nostalgica di quelli che hanno una certa età, come il sottoscritto.
La scogna (strumento per scognare) era un particolare attrezzo agricolo costruito artigianalmente, composto da un lungo e robusto bastone cui era collegato, tramite dei legacci resistenti, un bastone altrettanto robusto e nodoso di un metro circa, a mò di maglio.
Il suddetto attrezzo serviva a trebbiare, praticamente a forza di braccia, i mannelli di grano oppure gli arbusti dei legumi liberando la semente dalla pula, dalla paglia del grano, dai baccelli delle fave, dei piselli e delle lenticchie.
Un grande fervore di impegno e fatica che ci prendeva in particolare nei mesi di giugno e luglio.
Quanta curiosità e quanta gioia per noi ragazzi, radunati ai bordi delle aie dove si “scognava”, nel vedere il laborioso impegno dei contadini che turbinavano con perizia la scogna per poi abbattere il “maglio” sulle spighe e sui baccelli.
I ricordi personali relativi alla “scognatura” sono tutti legati alla permanenza, durante la mia fanciullezza, presso la casa dei nonni materni sopra ”I Conti”.
L’operazione veniva effettuata sull’”astico” (l’aia – NdR) esistente davanti l’abitazione, debitamente preparato per l’occasione con una pulitura a fondo ed imbiancatura con calce viva.
Il lavoro veniva effettuato sotto la “supervisione” del nonno Gennaro che stava attento ad ogni fase dell’operazione.
I mannelli di grano si spandevano sulla pavimentazione e i miei zii cominciavano a “scognare”. Io ero affascinato da questa attività. Vi si dedicavano anche le donne di casa ed in particolare zia Carmelina che era molto efficiente nel manovrare la scogna.
La voglia e la tentazione di imitare la cara zia mi spinse una volta, approfittando di una pausa del lavoro, a prendere furtivamente la scogna cercando di imitare i gesti dei lavoranti. Risultato: un bel bernoccolo causato dal maglio che mi cadde sulla testa.
Da quel momento la “scogna” fu, per me, un attrezzo da tenere lontano. Mi limitavo ad aiutare la zia a macinare il grano, una volta pulito, nella macina a mano esistente in cucina e, successivamente, ad impastare ed infornare il pane nel forno, sempre attivo, da dove uscivano pagnotte croccanti e saporite da portare a tavola.
Una tavola imbandita di poche cose ma saporite, dove i principali “condimenti” erano l’appetito di noi ragazzi, l’affetto dei grandi e la serenità nella quale ci immergevamo, in quei tempi ormai lontani, accanto alle persone che tanto abbiamo amato.
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Nota della Redazione
“La scogna” è un attrezzo denominato, in dialetto, anche “muille”. Eccone la descrizione di Ernesto Prudente:
Muille – bastonatore sm. Attrezzo agricolo usato per battere i legumi secchi per liberarli dal baccello. Era formato da due bastoni di diversa lunghezza tenuti uniti da una cordicella lunga all’incirca 20/25 cm. che viene annodata alla estremità delle due mazze. L’asta lunga è nella mani del contadino che agitandola fa roteare quella più piccola spingendola, con forza, sulle bacche secche stese per terra, liberandone i legumi o i cereali. (da ALFAZETA – Voci del dialetto ponziano – di E. Prudente – Ed. Formia – Graficart)