di Martina Carannante
A mio Nonno, perché se sono “guerriera” lo devo a lui
Martina
Ogni casa racchiude dei segreti nascosti e la mia non fa eccezione. Sin da piccola osservavo mio nonno, che di tanto in tanto, apriva un mobile in sala da pranzo; in esso c’era un doppiofondo, apribile solo con una chiave che egli custodiva nel taschino interno alla giacca. Mi sono sempre chiesta che meravigliosi segreti nascondesse nel secretaire. La risposta non tardò ad arrivare. Qualche tempo fa in un uggiosa giornata invernale, mentre controllavo che nonno non scappasse, mi venne in mente di aprire lo scomparto segreto. Cercai a lungo la chiave, che nonno aveva nascosto accuratamente prima che la malattia divorasse completamente la sua ragione. Aperto il mobile trovai varie carte e due quadernini neri. Li presi, chiusi il secretaire e seduta sul divano iniziai a sfogliare il primo. Con grafia pulita vi erano appuntati, calcoli, numeri, poesie e giochi; lo misi da parte e aprii il secondo. Identico al primo, ma più corposo. Sfogliai le prime pagine bianche e poi all’improvviso lessi: “Diario d’una missione”.
Subito capii che era un documento importante. Iniziai a leggerlo. E mi resi conto che parte di quel racconto lo conoscevo già; nonno me l’aveva raccontato e ci avevo scritto un tema per un concorso letterario.
Dopo averlo letto tutto capii molto cose su mio nonno e sui suoi comportamenti.
Per me lui era sempre stato un mito, ma dopo aver letto quel fiume di parole lo era ancora di più.
Martina
Diario d’una missione. La mia Odissea di circa 72 ore faccia a faccia con la morte (1)
Eravamo in missione segreta da parecchi giorni, nella zona da vigilare tra il Marocco e il Golfo di Malaca che si trova ancora in mano ai Rossi. La nostra base di partenza fu Cagliari, con 20 giorni di missione segreta per il Generalissimo Franco e a termine di essa dobbiamo sostare alcuni giorni a Palma di Maiorca, la maggiore delle isole Baleari, per poi ritornare in patria. Per i preparativi della parata navale che si dovrà svolgere a Napoli. Siamo al 17 gennaio (giovedì) 1938 già in missione nella zona assegnata da tre giorni. Nulla di anormale, tutto andava bene; solo la vita disagiata da ogni privazione e di penitenza, che tormentava i nostri fisici. Son tre giorni che non vedevamo la luce del sole. I nostri volti barbuti e sporchi da non vedersi quasi più il colore della pelle; avevamo l’aspetto di un branco di scimmie sapienti. Solo il morale restava alto, con tanto sacrificio. Lo possono comprendere solo i sommergibilisti, la vita di bordo che la svolgevano secondo le norme disciplinari; ogn’uno col suo turno di guardia al proprio posto di manovra assegnato, tutti vigili e attenti, agli ordini del comandante. Ogn’uno guarda il suo apparecchio e manovra secondo gli ordini impartiti. Non ci sono distrazioni, non si può fumare, non si può chiacchierare e neanche dare ordini con voce grave, né fare rumore qualsiasi con le scarpe sui paioli ed infine bisogna resistere a qualunque bisogno corporale se non si sta a quota da poterli fare. Si sta in agguato, silenziosi e vigili, solo gli occhi sfolgorano di una sola volontà di vita e di patimento, l’aria racchiusa nelle camere all’interno del sommergibile non circola; tra il calore delle lampadine e quelle delle attività degli argani che lavorano e la temperatura degli uomini, l’aria diventa afosa e insopportabile di un caldo infernale, con il passar del tempo l’ossigeno va consumandosi, lasciando il posto all’anidride carbonica, la respirazione diventa pesante e frequente, gli occhi bruciano di continuo per il sudore che cala dalla fronte e si ha una stonatezza che porta alla sonnolenza che non si riesce a soddisfare. Questo sonno è dovuto dalla mancanza di ossigeno unito al continuo sibillio e ronzio dagli apparecchi elettrici in funzione, che forma una cantilena senza fine. Ogni uomo, è davanti al suo apparecchio, fermo al suo posto, tutto è silenzio, solo la guardia franca dorme con il sonno di piombo nell’aria stagnante. Si nota un’ansia straordinaria, tutti levano lo sguardo di continuo verso l’orologio che è situato in alto, sopra la porta a stagno della camera di manovra. Che cosa ci attende? Cosa si brama con tanta ansietà? Forse si aspetta il cambio della guardia, per mangiare o per qualche altro bisogno, NO! Si contano le ore, i minuti e i secondi, ed ogni secondo sembra lungo un secolo. Sono trascorse appena otto ore, dacchè siamo immersi dalle quattro di stamane, siamo appena a mezzogiorno. Mancano ancora altre ore di fondo. Dio come sono lunghe! Con questo caldo, siamo in pieno inverno e siamo nudi e inzuppati di sudore, anche il battello sottomarino dalle sue pareti suda grosse gocce d’acqua che di tanto in tanto cadono sul mio dorso e su quello degli altri. È mezzogiorno, si mangia, c’è un po’ di movimento per tutto l’interno del battello, si ritirano le gamelle per il pranzo, son viveri di guerra, tutta roba in scatola e gallettine per pane. Si mangia allegramente, fermi davanti al proprio posto di manovra e dopo il cambio della guardia. L’ansia di guardare l’orologio è sempre la stessa, uffa queste ore come passano lentamente!! Si ricambia nuovamente la guardia. Siamo alle ore diciotto della giornata, l’aria è molto peggiorata, puzza e ha uno strano odore di alito di trentadue persone che respirano. I respiri diventano rapidi come se si avesse un’asma; l’ossigeno richiesto dai polmoni non è più sufficiente per una respirazione regolare, il sudore che cola ci dà una sete indiavolata, ma l’acqua è così calda che ci disgusta e poi essa non si deve sciupare, neppure una goccia e nel limite ristrettissimo che ci bagnamo solo le labbra, nell’arco di una giornata solo un bicchiere ci viene versato. Finalmente l’orologio marca le ore diciannove di sera, quando il comandante dal suo posto di comando e di osservazione chiama l’idrofonista. Il comandante chiede: – Odi niente? L’idrofonista risponde: – Nulla.
Il comandante impartisce l’ordine: – A quota periscopica 50, a mare cassa zavorra avanti. Le stesse parole si sentono ripetere come un eco da colui che è al posto di manovra, per dire che ha ricevuto l’ordine: 50 a mano dalla cassa zavorra a dietro. Un’altra voce si sente ripetere: – Timone orizzontale a venti in alto; macchina avanti adagio; macchina ferma, alza periscopio – Un leggero scatto e un sibillio fa capire che è il piroscopio si sta alzando. Timone orizzontale a 0, si avverte che il battello che era leggermente inclinato si riaddrizza. Dopo una breve esplorazione del periscopio e ancora qualche ordine s’odono tanti rumori confusi di pompe di assesto in funzionamento. Il rumore assordante del turbo soffiante, il ronzio di altre macchine e apparecchi in moto. Un leggero dondolio ci dice che il battello è in superficie. Ancora altri comandi: – Aprite il portello della torretta; guardia al timone e chi in vedetta in torretta. Capo Devoto voi che siete di guardia fate fare la pulizia in tutti i locali; il signor Teruzzi fate mettere i motori termici in moto e ricaricate gli accumulatori.
Così terminato di dare gli ultimi ordini, il comandante, zoppicando leggermente (da essere poco visibile) per una sua gamba offesa e dagli occhi azzurri, il Tenente di Vascello Signor Valerio Dei Principi Borghese, si piglia il cappotto e il cannocchiale e risale in torretta. Giù nei locali gli uomini si “risvegliano”, mettono in ordine e fanno la pulizia al battello, c’è chi chiude le valvole di allagamento dei doppi fondi, chi gli sfoghi d’aria, chi scopa, chi pulisce altre cose. In coperta c’è chi lava le gammelle, chi fa i propri bisogni corporali, man mano che la gente si sbriga escono dalle viscere del battello. In coperta si fuma una sigaretta, osservando il mare calmissimo e il cielo leggermente illuminato da un tantino di luna e da qualche stella. A breve la coperta si riempie di uomini ed ogn’uno eleva uno sguardo al cielo come a voler dare il suo saluto e poi al mare; le mani frugano in tasca ed accendono una sigaretta.
Ehi! Dopo 15 ore di fondo si respira un po’ di aria fresca. Ringrazio Dio e mi meraviglio come mai siamo emersi un’ora prima dei giorni scorsi, forse per caricare gli accumulatori, intanto i motori termici sono in moto per eseguire il caricamento; così siamo fermi in superficie chiacchierando, discutendo e fumando diverse sigarette in una sola ripresa.
– Oggi ti lamentavi del caldo ed ora ti lagni del freddo” dice uno di noi – Si può sapere che razza di pesce sei?
– Caro amico – è la risposta – ricordati che nella vita non si è mai contenti del proprio. Per esempio tu in 15 ore di fondo non hai fumato nemmeno una cicca ed ora in 5 min. ne hai accese tre. L’amico risponde: – Domani avremo altre 15 ore di fondo in cui non posso fumare, da ora fino alle quattro di domani fumerò tutto quelle che mi rimangono! E così tutti sdraiati in coperta ogn’uno raccontava una delle sue, respirando a pieni polmoni per incamerare di ossigeno che durante la giornata andava svanendo, come per fare uno provvista anche per il prossimo giorno. Mentre stavamo così fermi con il battello e noi quasi tutti sdraiati in coperta a guardare un po’ di luna che era ormai tramontata, solo le stelle luccicavano e potevano essere le nove di sera. All’improvviso la guardia di vedetta segnalò una luce, tutti ci rivolgemmo nella direzione indicata, il comandante puntò il suo cannocchiale., Dopo una breve osservazione disse che si trattava di un piroscafo illuminato a festa: – In questi paraggi? Eh, non mi fregate! Ordinò subito di andare tutti ai propri posti per una rapida immersione e che i portelli di poppa e di prua fossero chiusi e alla macchina di staccare la carica degli accumulatori e di mettere avanti a tutta forza. Poi chiamò il capo silurista Roia, gli disse di preparare i tubi di lancio N° 1 e N° 2 e di avvertirlo appena pronto.
– Tutti gli uomini che scendano giù! Anche tu timoniere Giribaldi! Mettiti al timone. Intanto il sommergibile filava velocemente incontro al piroscafo, ci avvicinammo in un colpo d’occhio.
Dal diario di Aldo Mazzella, trascritto dalla nipote Martina Carannante
Nota
Le foto (dal web) si riferiscono al sommergibile C. Finzi, operante in Mediterraneo e Atlantico negli anni precedenti e durante la seconda Guerra Mondiale
[Diario d’una missione (1) – Continua]